sabato 18 novembre 2006

Qasim bin Faruq al-Malaqahi e i grandi viaggi

Di solito chiamato al-Malaqahi o ibn Faruq (latinizzato come Almalacai) (ca. 1405-1462), come dice il nome nacque a Malaga; della sua famiglia si conoscono solo i nomi dei genitori (Faruq e Ghadah) e che probabilmente il padre era un capitano di una nave da guerra. Quarto di sei figli, fu destinato dal padre a una carriera mercantile, mandandolo in apprendistato da un capitano anonimo che nei suoi viaggi commerciali andava dalla Bretagna ad Alessandria.
Quella vita piacque subito al giovane Qasim, che nelle sue memorie racconta di quanto s'appassionasse a leggere la Rihla di ibn Battuta, che aveva ottenuto grazie all'acquisto da parte del padre di un grande palazzo a Tangeri, in cui era stata trovata una delle prime copie delle memorie del grande viaggiatore di quella città e che sognava di emularlo.
A 11 anni lasciò l'apprendistato per seguire il padre, che essendosi ritirato dal servizio in marina s'era messo in proprio, nel mix tra azioni mercantili e bellicose tipico dell'epoca. Al contrario del figlio -che ammirava molto il suo signore, il vecchio Salman-, Faruq era un fervente musulmano e portò il figlio quattordicenne, già pilota del suo dromone (a Malaga c'era una fiorente attività di carpentieri greci) a Tripoli come mercenari, per difenderla dai Giovanniti.
Ammette di non essersi affatto distinto nello scontro, anche se, a causa delle evidenti carenze strutturali del vecchio modello della nave, Faruq partecipò solo marginalmente allo scontro e non ebbe ad ogni modo molte possibilità. Egli infatti, complice l'educazione impartitagli dalla madre e dallo zio materno, non fu mai uno spirito bellicoso.
Nel 1422 il padre ricevette una commissione: doveva trarre in salvo alcuni nobili dalla Bordeaux assediata dal duca di Linguadoca durante la guerra civile sorta a seguito della morte del re Charles V.
Ma Faruq al momento era ammalato e affidò l'incarico a Qasim. Questi partì da Malaga a metà luglio e tornò durante il Ramadam: ciò perché quando arrivò al porto, Bordeaux era già stata conquistata, ma questa fazione di ex sudditi del duca di Linguadoca sostenitori del nuovo re era riuscita a fuggire e fu informato che avrebbe dovuto battere tutti i porti da Biarritz a Brest e li avrebbe probabilmente trovati, dato che fuggivano in nave.
Li trovò, dopo settimane di ricerche, all'altezza di Montalivet-les-bains, quando s'accostò a un peschereccio e questi si rivelarono, travestiti da pescatori, parlando in catalano, lingua che Qasim conosceva.
Tornato in patria, quel gruppo di esuli per ricompensarlo ulteriolmente lo raccomandarono caldamente a sua insaputa all'ammiragliato, in cui avevano alcune amicizie. Persuaso, l'ammiraglio supremo Hashim bin Ibrahim, che aveva conosciuto il padre e l'aveva apprezzato, propose con forza ai fratelli Qasim e Omar un ingaggio: l'assalto alla roccaforte di Mellila, divenuta da un decennio base di uno stato corsaro, che aveva come obiettivo le coste provenzali, sia francesi sia le roccaforti degli Hafsidi, danneggiando assai i traffici commerciali nel Mediterraneo settentrionale. Questo perché essi erano protetti dagli Ziyanidi e non ci si poteva permettere un tale affronto diretto. Quanto poteva dare l'Ammiragliato erano una caracca, una galea sottile e un sambuco requisito a Gibilterra, trasportante merce di contrabbando dal Mar Rosso attraversando la penisola del Sinai, più una ventina di piccoli cannoni. La flotta dell'ammiraglio Jafar abu Idris, trasportante 2.000 soldati, avrebbe poi aspettato al largo il segnale per entrare in porto e procedere alla conquista della città. Tale proposta fu accettata subito da Omar, che col suo entusiasmo coinvolse anche il fratello, seppur riluttante. La flotta regia sarebbe partita da Maiorca, mentre la flottiglia corsara sarebbe dovuta partire da Ibiza; sarebbe poi entrata fingendosi corsara (il porto era dichiarato franco per tutti coloro che pagavano il giusto pedaggio) e avrebbe attaccato di sorpresa, di notte, le fortificazioni del porto e incendiato le navi, cercando poi di scappare. Un piano rischioso, ma non c'erano metodi più efficaci.
Il comando della caracca lo prese Omar, a Qasim fu assegnata la galea e il sambuco sarebbe stato capitanato dall'amico berbero di Omar, Azrur (ex ufficiale della marina militare nasride).
La caracca, che aveva già 3 vecchi cannoni di bronzo ne caricò altri 12 (sovraccaricandosi), la galea 5 e 3 il sambuco.
La flotta sarebbe dovuta partire a fine estate, durante il periodo di rientro delle navi, periodo improbabile per un eventuale attacco: qui stava un altro azzardo. La partenza fu il 22 settembre (12 Rabî Ath-Thânî), all'alba per i corsari e al tramonto per la flotta regale.
Fortuna volle che praticamente tutte le navi che d'abitudine riparavano là per la stagione brutta dovessero ancora rientrare dall'ultima razzia stagionale, che sarebbe andata dalla Linguadoca alla Provenza. La flottiglia ormeggiò in sordina e alla sera Qasim prese il sambuco per andare ad avvertire gli alleati della facilità d'attacco, mentre le altre due navi sarebbero prima uscite dal porto e alcune squadre avrebbero tentato di eliminare la scarna guarnigione delle batterie a terra.
Raggiunse in breve tempo le altre navi e iniziò a guidarle per entrare nel porto, ma a nemmeno un miglio dalla costa il tempo già brutto peggiorò e si scatenò una tempesta piuttosto forte per il periodo.
I racconti sono piuttosto confusi, non si sa ancora esattamente come accadde (probabilmente usando una serie di lanterne, neppure ibn Faruq ne dà una descrizione precisa), ma ibn Faruq riuscì in qualche modo a pilotare la flotta entro il porto e da lì i soldati colpiti dal mal di mare, incuranti della pioggia scesero a finire l'occupazione del porto. Fu poi facile per la marina tendere una trappola alla flotta in arrivo ed eliminare la minaccia pirata dal Mediterraneo occidentale.
Questa azione portò ai quattro capitani che vi presero parte grande gloria, dentro e fuori il regno.
Nello stesso periodo, intanto, i Mamelucchi approfittavano del disgregamento dell'impero timuride e ritrovavano forza in Egitto; Yusuf IV
allora intraprese una politica di riavvicinamento, che diede i suoi frutti: nel 1422 il Sinai fu transitabile per la prima volta da decenni da viaggiatori del Mediterraneo occidentale. Per facilitare le cose, fu creata
un'organizzazione statale che si occupava di ogni traffico terrestre tra una sponda e l'altra dell'istmo e quindi che deteneva il monopolio cantieristico delle navi, dato che chiunque volesse commerciare tra Oceano Indiano e Mediterraneo senza circumnavigare l'Africa (che all'epoca si riteneva un viaggio troppo pericoloso) doveva disporre di almeno due navi per mare.
Il ministro degli esteri nasride non si poneva per il suo mandato lo scopo di trovare una via alternativa: nel 1419 un altro capitano, ibn Latif, aveva tentato di spingersi oltre le Canarie, ma passata la fascia desertica era stato costretto a tornare indietro a causa delle condizioni metereologiche avverse che aveva trovato da metà percorso e della scarsa ospitalità di alcune tribù Mandé, che erano costrette all'ostilità a causa dei raid dalla federazione di Toubkal (alleanza delle città stato marocchine, capeggiata da Marrakech); il Mali, un tempo stato su cui ogni viaggiatore faceva affidamento per viaggiare a sud, era in preda di una grave guerra civile. Il ministro cercava nuovi mercati per compensare i costi della traversata.
Nel 1426 iniziò l'allestimento di una spedizione governativa, in contatto coi Mamelucchi che seguisse le rotte dei commercianti dell'Aden e dell'Oman, per mettersi in contatto con nuovi stati. Tre anni dopo fu tutto pronto. Si doveva solo trovare il capitano. Nella marina non si poteva cercare, dato che nessun capitano avrebbe lasciato il servizio per così tanto tempo (all'epoca non esisteva il servizio passivo); così si dovette guardare ai privati e i più qualificati sembravano Qasim e Omar bin Faruq, che grazie alla loro impresa godevano ancora di grande fama. Nuovamente, Omar accettò subito, attratto dalla ricompensa e col suo ascendente tirò in ballo suo fratello.
Per il 1430 pure i capitani erano pronti a partire. Nel Sinai meridionale venivano assegnati loro quattro grossi dhow da 35 uomini (più venti soldati per nave, tre interpreti, un imam, cinque medici e un commissario). Nei mesi precedenti si erano messi in contatto con i due grandi stati della penisola arabica, l'Aden e l'Oman. Con un grande mercante di quest'ultimo paese ottenne di potersi aggregare nel suo viaggio: la sua missione era viaggiare fino a quasi l'estremo sud del continente africano per il periodico viaggio commerciale.
Partirono da un isolato porticciolo del Sinai il 3 safar e il 7 raggiunsero l'avamposto commerciale sull'isola di Socotra.
L'11 fecero scalo alla cittadina di Muqdishu (Mogadiscio) -già visitata da ibn Battuta- per scaricare alcuni malati e il 18 raggiunsero la fiorente città di Lamu. Si fermarono quattro giorni in città e poi ripartirono per Mombasa. Il sultano della città accolse molto bene, Qasim lo descrive come un anfitrione eccezionale che parlava molto bene oltre all'Arabo lingua madre lo Swahili, il Tamil e il Cinese fujianese. A questo proposito gli fece incontrare un suo funzionario, figlio di un compagno di ibn Battuta e che aveva conosciuto Hajji Mahmud (il viaggiatore cinese Zheng He). Una settimana rimasero a Mombasa, per poi spostarsi a sud e raggiungere prima Zanzibar, dove rimase qualche giorno e poi Malindi, che però dovettero abbandonare quasi subito per un'epidemia.
Infine, il 14 Rabi'l raggiunse l'opulenta Kilwa, sua meta ambita.
Questa città negli anni era giunta a dominare anche politicamente le sue vicine (seppur indirettamente) e a imporre la sua influenza sulla sua "vacca grassa", l'impero Munhumutapa. Dà una dettaliatissima descrizione della città e parla con animo naturalistico del suo viaggio all'interno, verso alcuni avamposti nella savana.
Nota però ibn Faruq che il fervente spirito religioso che aveva elogiato ibn Battuta s'era perso, trai regnanti e tra la popolazione.
Rimasero più d'un mese in quella città, ma poi il mercante anonimo che gli faceva da guida e che aspettava già da due settimane gli intimò di prepararsi a partire.
Giunsero quindi allo Zambesi, ma una tempesta improvvisa all'altezza di Sofala costrinse buona parte delle navi del convoglio a una sosta al porto. Qasim ottenne dal fratello Omar il comando del suo dhow, intatto, per potersi portare alla foce dello Zambesi e da lì risalire sulle imbarcazioni locali che facevano regolari viaggi lungo il fiume. Lo risalì per circa 10 km, fino al più vicino insediamento.
Arrivò poi a fine anno, sfidando tutti i monsoni (il budget di cui disponeva era sufficiente a convincere la sua guida ad andare oltre le agevolazioni stagionali) alle terre degli Xhosa. Tornò poi con un viaggio di sola andata a Socotra, da cui spedì un primo gruppo di nuove carte e i contratti commerciali che era riuscito a stipulare. In attesa poi di ricevere altri fondi per proseguire i viaggi, la spedizione si fermò a temo indeterminato in Aden: gli uomini degli ibn Faruq furono trai primi musulmani a ovest di Tunisi a poter fare di nuovo il pellegrinaggio alla Mecca, che solo da pochi anni l'Aden era riuscito a strappare ai Timuridi e ai signori locali. In quel periodo Omar s'ammalò (non si sa di che cosa) e morì, lasciando a Qasim l'onere d'informarne la famiglia e guidare la spedizione.
E qui cessano le informazioni dettagliate: Qasim scrisse il resoconto dei suoi viaggi tra il 1461 e il 1462, ma morte lo colse appunto nell'ultimo anno, quando aveva appena iniziato a scrivere del suo secondo viaggio, in India. Comunque sappiamo, dai resoconti dei suoi compagni e da altri documenti che decise di partire senza altri aiuti per l'India, che percorse lungo tutta la costa e poi viaggò all'interno, visitando il territorio del Vijayanagara e della potenza emergente, Delhi, il cui dominio arrivava fino in Persia. Riprese poi il mare, arrivando in Malacca, in Indocina e nell'arcipelago indonesiano, di cui visitò un gran numero di isole. Risalì poi fino in Cina, che visitò almeno in tutta la sua parte orientale, per poi arrivare in Corea, Giappone e i territori Manciu. Tornato poi in Cina viaggiò verso ovest con i suoi uomini a cavallo (le navi erano state abbandonate perché troppo danneggiate) e con una scorta, aggregandosi a una spedizione diplomatica dei Ming, tutto il khanato Chagati, arrivando nel regno della città di Balkh, patria di ibn Sina (Avicenna) e visitata da Polo. Colse poi l'occasione, con uno sparuto gruppo di volontari, per passare sei mesi ai confini settentrionali del grande regno da poco formatosi e arrivando fino al khanato di Siberia.
Dovettero abbandonare Balkh dopo poco il ritorno da nord a causa di una sollevazione dei Uzbeki, vessati dal governo e conflitti armati fra Tajiki e Pashtun. Tornò poi indietro fino in India orientale e di nuovo nel sud-est asiatico. Alla fine decise di tornare, a 45 anni: i suoi uomini, i pochi che erano sopravvissuti, anche se erano partiti senza alcun legame lasciato, erano stanchi e volevano tornare a casa.
Vi tornò, quindi, portando nell'Al-Andalus una conoscenza del mondo orientale enorme e gli furono tributati grandi onori, divenendo un eroe popolare, così come lo era Salman Nasrid, oggetto quasi di venerazione.
Si spense infine nel 1462, quando aveva appena potuto trovare il tempo di scrivere cosa vide.

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