domenica 19 agosto 2007

La seconda guerra del Rajput

Come già detto, nel 1713 Pabuji Shekha approfittò delle spese che stava sostenendo Granada per disfarsi dell'80% delle guarnigioni turche e persiane nel suo regno (e Granada si tolse il peso del loro mantenimento). Però, finita la guerra, il Consiglio e il ministro degli esteri chiesero al re di far ritornare i soldati in Marwar, poiché gli agenti sul luogo avevano segnalato numerosi incontri fra i raja e volevano prevenire il prevenibile. Nonostante l'opposizione del Tesoro, Ismail accettò di rioccupare alcuni presidi, mandando nel 1720 gli ausiliari ancora presenti in Sindh o Gujarat.

Il raja non era d'accordo e impedì col suo esercito agli altri soldati di raggiungere i forti. Non sapendo come agire, i contingenti fecero dietro-front. In breve tempo arrivò il messaggio che i regni di Marwar, Ajmer e Udaipur si alleavano di nuovo per combattere Granada. Le guarnigioni ancora presenti, dipendendo dai rifornimenti esterni, in circa una settimana vennero sconfitte e gli occupanti mandati ai lavori forzati.
Il governatore Vasco Braba dovette decidere autonomamente, dato che le comunicazioni con la capitale impiegavano molto tempo anche tagliando per il Sinai. Comunque, il servizio informativo segnalava che le armate di Ajmer e Udaipur da 20-30.000 uomini si erano appena messe in marcia per congiungersi a quella di Marwar da 50000 uomini. L'unico modo per evitare l'invincibilità degli alleati era combattere le armate separatamente. Delhi e l'Impero Ottomano non potevano intervenire.

Il nuovo sistema d'arruolamento non era già stato introdotto in tutto il regno e in Gujarat, per esempio, rimaneva il sistema della leva. I sultani del Gujarat però non avevano un apparato di arruolamento rapido e, di norma, non rispondevano solertemente ai loro dominatori. Ma un evento fu d'aiuto al governatore. Un giovane nobile gujarati, in visita presso un Rajput musulmano, ebbe un contenzioso con un altro nobile del luogo ed era stato ucciso. Il fatto fece calare drasticamente le relazioni fra aristocrazia del Gujarat e Rajput e fomentò lo "spirito di corpo" trai nobili, che era nato sotto l'ultimo sultano. In brevissimo tempo, le milize del Gujarat furono pronte per essere mandate al massacro.
Una cosa che però Braba non sapeva era che nella precedente guerra le perdite dei Rajput erano state molto elevate, così che Pabuji dovette aumentare il numero di guerrieri al di fuori della casta guerriera (Jat, Charan ecc...), che aveva addestrato a combattere in stile rigorosamente europeo, mentre il nucleo dell'esercito non cambiò armi e tattiche.
Tre mesi dopo la dichiarazione di guerra arrivarono le divisioni di Maratha (che rientravano nei soldati professionisti) e Tamil, con la divisione di fanteria della Guardia mandatagli dallo zio.

La battaglia di Selwasan
La decisione di Braba di prendere lui stesso il comando fu probabilmente dettata dalla ricerca di gloria, poiché nel conflitto precedente era stato scartato a favore di Bhosle. La storiografia ha esagerato le qualità nascoste del governatore, che si rivelò un buon comandante ma nulla di eccezionale, rimanendo attaccato alle concezioni d'accademia militare.
Comunque, mantenne un importante Stato Maggiore, mettendo al comando dei propri popoli rispettivamente Shoba Perumal (con la divisione della guardia, 1 di cavalleria e 3 di fanteria più due brigate d'artiglieria e una di genieri) e Rajaram, il figlio di Shijavi, che aveva due divisioni di fanteria con due brigate d'assalto e una d'artiglieria. Braba ebbe il comando diretto su circa 25000 soldati del Gujarat e 10000 del Sindh, per un totale di 80.000-95.000 soldati, l'armata più grande che Granada aveva mai schierato in India, senza considerare i presidi che erano rimasti. Tuttavia, una divisione tamil e la maggior parte degli effettivi gujarati e sindhi erano leve e, anche se non ufficialmente, dimostrarono uno dei grossi difetti dell'esercito andaluso per moltissimo tempo: un esercito estremamente ben equipaggiato, ma con un enorme divario fra i regolari, addestrati per bene e le milizie, a cui veniva solo insegnato come sparare in linea e ricaricare.

Nella marcia di avvicinamento al confine le tre colonne si erano distanziate alquanto e Shekha si mosse per prenderle ancora divise. Il contingente di Perumal, non potendo contare ancora a lungo sui carri, era quello che si era distanziato di più cercando bottino. Il 3 settembre le avanguardie di Perumal entravano a Karwara, mentre il centro, tenuto da Braba era a Hariyali, a trenta km e l'ala sinistra, di Rajamar, era tra Hariyali e Chitalwana. A est di Karwara, sulle alture, era arrivato l'esercito del Marwar, che ora ammontava a circa 60.000 uomini. Shekha voleva intercettare i 56.000 Tamil, ma gli esploratori avvertirono appena in tempo il generale, che precipitosamente si ritirò in direzione del resto dell'esercito.
La scelta più saggia, probabilmente, sarebbe stata quella di ritirarsi facendo terra bruciata e aspettare gli alleati, in quanto un'armata di quelle dimensioni chiaramente poteva vincere solo con una vittoria veloce e completa sui difensori, ma probabilmente l'idea di lasciare i nemici addentrarsi così nel suo regno non andava al raja, ma decise di attirarli ancora più lontani dal confine: attese di sapere che l'esercito si stava muovendo per attaccarlo e si ritirò sulle montagne, aspettando. Dopo una schermaglia sui sentieri, il re diede a intendere di voler lasciare quelle posizioni perché spaventato dal numero dei nemici e andò a Selwasan.
L'esercito di Braba era stato il primo a discendere e il generale pensò che si stesse ancora ritirando per coprire la strada orientale verso Jodhpur (e tornare sui propri passi per riprendere quella occidentale era fuori questione), così diede ordine ai subordinati di sbrigarsi per prendere gli avversari in una zona pianeggiante. Pabuji si spostò di nuovo, passando il fiume a est del villaggio.
Ma nel pomeriggio del 9 settembre la retroguardia di Marwar si rivelò composta dalle truppe scelte, le quali respinsero facilmente i primi reparti e mostrarono che erano state scavate ridotte sulla sponda est del fiume.
Braba fece ritirare i soldati e si preparò a un assalto alle difese con il resto dell'esercito. Alla mattina del 10 fu deciso che si doveva assalire le postazioni difensive, sfruttando i due ponti e i pochi punti guadabili, diminuti di numero dalle piogge; cercare di aggirarle non era possibile, dato che ciò avrebbe concesso a Shakha di ritirarsi. Il bombardamento durò tre ore, ma i parapetti di fronte alle trincee per la maggior parte ne attenuarono gli effetti. Così partirono le cariche a scaglioni. Per tutta la giornata si susseguirono, ma ogni volta che veniva sfondata la prima linea di difese, la seconda ricacciava gli assalitori. Al primo assalto i reggimenti di leva si ritrovarono per sbaglio a precedere i corpi d'assalto e quando furono messi in fuga intralciarono i compagni, rendendo così facile il massacro; i successivi furono più ordinati ma altrettanto infruttuosi. Il tentativo dei genieri di costruire un altro ponte fu sventato dai (pochi) cannoni del Rajput.
Solo nel tardo pomeriggio Braba di decise di far assaltare alla baionetta la Guardia; grazie ad alcune barche costruite dai genieri, fu possibile un assalto quasi generale. Questa volta, gli ausiliari cedettero e ruppero le linee, ma i Rajput resistettero. I combattimenti continuarono fino a notte inoltrata, con i difensori arroccati entro le loro trincee che continuavano a respingere gli attacchi. Solo poco prima dell'alba l'ultima resistenza fu domata e le truppe esauste poterono addormentarsi. La battaglia era stata di una cruentezza senza precedenti. Almeno 10.000 soldati granatini erano morti negli assalti e altre due migliaia nei combattimenti dopo il tramonto. Ancora peggiori le perdite di Shekha. 15.000 ausiliari erano morti o si erano arresi, se ne erano salvati solo quattromila. Circa ventimila erano stati mandati da Shekha indietro, quando capì che l'onda d'urto dell'ultimo assalto non sarebbe stata contenuta, per difendere Jodhpur. Tutti i restanti rimasero sul campo a bloccare l'armata nemica. Combattendo all'ultimo sangue, solo poche decine di soldati non furono uccisi in qualche modo. Shekha cadde sul campo. Tuttavia, quel ritardo permise ad Abhai Singh, il governatore di Jodhpur, di sfuggire alla cavalleria e tornare a preparare una difesa.
La vittoria poteva sembrare pirrica, ma in realtà aveva inferto un durissimo colpo alle forze di Marwar. Dopo la battaglia di Selwasan, bisognava solo prendere Jodhpur per prendere il regno. Tuttavia, restavano ancora gli eserciti di Ajmer e Udaipur.

L'assedio di Jodhpur
Tutta la regione di Barmer era stata abbandonata e Ajit Singh si era ritirato con tutti gli uomini disponibili a Jodhpur. Rajarm ricevette l'incarico di assediare la città. Questa cadde dopo due mesi, dopo bombardamenti continui per quasi tutta la durata dell'assedio. I difensori, al momento dell'ultimo assalto, erano stati decimati e il loro proverbiale valore a poco servì. Rajaram, contravvenendo alle linee guida che gli aveva dato il suo superiore, lasciò che la città venisse saccheggiata.
Il regno di Marwar divenne così un'altra provincia e i signori rajput, i pochi rimasti, furono obbligati a giurare fedeltà a Granada.

Il tradimento di Ajmer e l'assedio di Udaipur
Marciando verso Udaipur per incontrare i nuovi nemici, Braba fu contattato da Prithviraj VIII, il re di Ajmer. Questi disse a Braba che era disposto a lasciare l'alleanza in cui l'aveva gettato il padre ora morto, poiché tra Ajmer e Udaipur esisteva un'atavica rivalità. Avrebbe volentieri aiutato Granada, se avesse mantenuto delle prerogative. Il governatore, dubbioso, accettò comunque e vide che non aveva motivo di dubitare: nella battaglia di Sonwara, al suo esercito si unirono i 20.000 di Prithviraj e sconfissero facilmente il re Maharana Sangram Singh II. Il gesto fu esecrato in tutti gli altri regni rajput, ma il re di Ajmer nel proprio ebbe un'accoglienza trionfale, avendo vinto il nemico di sempre.
Dopo la sconfitta, Sangram dovette riparare con 10.000 uomini nella fortezza di Chittorgah, al confine sud-orientale, non potendo raggiungere Udaipur (la quale non oppose resistenza).
La quasi leggendaria fortezza di Chittorgarh era di molto antica fondazione e nei secoli era stata migliorata. Diversi eserciti l'avevano espugnata, ma le difficoltà erano tali che solo una macchina da guerra più che efficiente poteva riuscirci. Lì s'era ritirato il re di Udaipur, con i suoi guerrieri e (in maggior parte) le loro famiglie.
Braba mandò nel suo regno Prithivraj e si preparò a un lungo assedio. Non ci sarebbe stato modo di far uscire i difensori e l'unica soluzione che trovò fu quella di colpire le mura con l'artiglieria d'assedio.
Per molti mesi la situazione fu in stallo. La grossa armata doveva disperdersi in lungo e in largo per integrare col saccheggio i rifornimenti dai territori amici, eppure i Rajput non riuscivano a fare una sortita.
La situazione peggiorò per loro quando l'artiglieria di Rajaram arrivò all'assedio. Con i cannoni, protetti da barricate di terra e vimini che permettevano agli artiglieri di avvicinarsi molto, la situazione per i difensori era insostenibile e ben presto sarebbe stata aperta una breccia sufficiente a un assalto. Così, nella primavera del 1724, i difensori fecero il Jauhar e Saka, il rituale rajputi dei difensori disperati: donne e bambini s'immolarono sul fuoco, mentre gli uomini sortirono in un'ultima carica. Questa, prendendo i nemici di sorpresa, per poco non riuscì a farli fuggire, ma la preparazione della Guardia permise di organizzarsi e trucidare tutti i guerrieri. Nel 1724, il regno Udaipur cadde per mancanza di difensori. In breve, Ajmer formalizzò la sottomissione. Questa volta non sarebbero esistiti vassallaggi speciali.

I primi anni di pace

La riforma navale
La guerra in oriente aveva dato ragione alla flotta granatina, ma aveva anche evidenziato le grosse lacune della marina, che in pratica non era cambiata per 300 anni, mentre le navi e la strumentazione erano rimasti al passo coi tempi. Questa commissione fu data al ministero della marina nel 1717. La soluzione fu di adottare il sistema francese in toto, riportando così l'organizzazione della marina ai livelli moderni.

Marwar
Nel 1713, il raja di Marwar presentò la richiesta di essere considerato un sovrano di uno stato satellite e non governatore per conto del re. In sostanza ciò avrebbe solo stabilito che le truppe straniere sarebero state ridotte di molto, mentre tributi e direttive da Granada sarebbero rimaste uguali. Ismail, pressato dai problemi di bilancio, accettò.

La tratta degli schiavi
Con la guerra di Giava al termine, Ismail prese in seria considerazione la possibilità di chiudere la parentesi schavitù: i guadagni della tratta erano stati alti, le popolazioni schiaviste trovavano più difficile catturare uomini, con la crescente organizzazione della Confederazione di Tambacounda, che da parte sua non avrebbe potuto sostenere ancora quella situazione a lungo.
Nella stessa città, Ismail IV, il primo ministro sceicco di Albarracin e i capi della Confederazione s'incontrarono nel 1716 per discutere della reintegrazione di quelle terre nel regno e soprattutto la protezione dalle razzie per gli schiavi. Con relativa facilità arrivarono all'accordo: dopo 80 anni di quasi guerra, tutte le popolazioni che erano state definite "schiavizzabili" rientrarono nel regno di Granada, con lo status di tutte le altre. Anche i capi si adeguarono e giurarono fedeltà al re (i discendenti di chi lo aveva fatto in precedenza, perdendo ogni privilegio, non riacquistarono comunque nulla). In tutto il regno ritornò il divieto di comprare schiavi, ma non di possederne né di tenere in schiavitù i loro discendenti, lasciando così intatti i patrimoni schiavisti che si erano creati.
Comunque, i centri di Mayumba e Bioko rimasero, decretando quindi che i sudditi di Granada potevano catturare e vendere schiavi.

mercoledì 27 giugno 2007

La riforma militare di Ismail IV

La guerra, seppure vinta, aveva dimostrato la vecchiaia dell'esercito, che era poco cambiato da Muhammad XII e che si era trovato in difficoltà di fronte alla macchina da guerra rajput. Nel corso degli anni si era modernizzato ma, poiché gli armamenti per i reggimenti rurali erano ancora lasciati in parte ai nobili e in parte agli stessi soldati, alcuni reparti in teoria avrebbero dovuto combattere come 400 anni fa. Inoltre, la composizione eterogenea delle armate in Gujarat e in Sindh aveva fatto lamentare i comandanti di avere problemi a capire bene la composizione dei reggimenti e anche a distinguerli nel campo di battaglia. Era giunto il momento di riformare l'esercito e quindi Ismail, nel 1708, diede questo compito a uno staff di esperti militari tra generali, ingenieri militari e altri esperti. Questi, tra il 1710 e il 1720, svilupparono una serie d'innovazioni approvate e quindi applicate a tutto l'esercito. Quest'ordinamento durò per circa un secolo con poche modifiche e anche dopo la maggior parte consistette in armi.
Nel complesso questi furono i cambiamenti apportati all'esercito:

innanzitutto il sistema di arruolamento (per l'esercito, la marina rimase immutata) fu cambiato. L'età di chiamata era invariata, ma ora c'era differenza per i periodi di leva, che si basavano sugli archivi statali. In pratica, contadini, pastori, operai e simili a 16 anni dovevano sottoporsi a quattro mesi d'addestramento, più una settimana di "manovre" all'anno; gli artigiani 5 mesi e due settimane e così via. Al termine del primo periodo di addestramento, si poteva far richiesta di essere arruolati nell'armata professionale, in cui si maturava il diritto al congedo dopo vent'anni di servizio; l'addestramento era nettamente migliore, così come la paga percepita, ma era soggetta al numero chiuso stabilito dal Ministero della Guerra e i disoccupati e nullatenenti avevano la precedenza assoluta sui posti.
In qualità di leve si poteva essere destinati alla fanteria, all'artiglieria o al limite alla cavalleria miliziana, previo pagamento della tassa per il cavallo; da volontari era possibile o quasi entrare in qualsiasi reparto disponibile al momento. In questo modo, con un corpo di militari perennemente mobilitati e una grande quantità di leve richiamabili, Granada potè cancellare la dipendenza dai mercenari.

l'organizzazione dei soldati venne razionalizzata e per la prima volta comparvero suddivisioni a bassissimo livello, per ogni evenienza.
La base era la squadra, formata da 10 uomini (o un cannone) e comandata da un caporale o da un sergente; sopra v'era il plotone, da 50 uomini (o cinque cannoni), comandato da un tenente; due plotoni formavano un battaglione o una batteria, sotto un capitano e sei plotoni di cavalleria una compagnia. Ogni battaglione disponeva di un tamburino e due flautisti (l'organico delle bande militari fu diminuito). Dieci battaglioni erano un reggimento, guidato da un colonnello, che nella cavalleria comandava un reggimento di 7 compagnie.
Dieci reggimenti formavano la divisione, unità strategica; l'artiglieria e alcuni reparti venivano però raggruppati in brigate da due reggimenti (3000 uomini). Entrambi erano capitanati da un maggiore. In totale, le divisioni contavano circa 10000 uomini, 12000 se erano affiancati da qualche brigata.
Oltre la divisione per molti anni non fu organizzato nessun corpo, preferendo accorparle a seconda delle necessità.

anche l'equipaggiamento fu radicalmente modernizzato. Per prima cosa, le uniformi, cosa che stava prendendo piede in Europa. I generali del re optarono per una scelta ancora più forte. Tutti i soldati avrebbero vestito cuffia rossa, una camicia di lino beige lunga fino a mezza coscia, sul modello di quelle civili, ma più attillata, pantaloni bianchi alla caviglia e scarpe di cuoio (stoffa rinforzata per gli induisti) o gli stivali da cavalleria. I reggimenti europei ricevevano anche un cappotto, quelli in Nordafrica tennero i mantelli berberi. I cavalieri usavano dei rinforzi alla parte interna dei pantaloni e i genieri dei grembiuli.
Per il servizio nei paesi caldi invece si usavano versioni a mezze maniche e mezza gamba dell'uniforme. Nel 1715 fu inoltre introdotto il "pantalone dimezzabile", con la parte sino al ginocchio normale, poi l'inferiore, cerata, che poteva essere tirata su e abbottonata alla cintura, oppure abbassata e pure stretta alla caviglia, per periodi di pioggia, guadi e così via. Gli unici soldati a mantenere il costume nazionale furono gli irregolari tuareg.
Le differenze tra reparti vennero segnalate con colori diversi dei polsini e del colletto, mentre l'appartenenza dalla targhetta cucite sul braccio destro.
Due reparti fecevano eccezione: la Guardia vestì completamente di rosso granata coi soli polsini a distinzione e "Le Ombre" ebbero una divisa completamente blu.
L'armamento anche fu standardizzato: a ogni soldato di fanteria e artiglieria venne assegnato un moschetto a pietra focaia Mod.1120, con baionetta a inserto femmina -digressione: la baionetta, nata nella città basca di Bayonne, fu adottata sin da metà 1600 dai nobili baschi, vedendo l'utilizzo di fucili con innestati i coltelli da parte dei briganti. Qualche anno dopo nacquero le baionette che permettevano di sparare- e in seguito il Mod.1208, più leggero e con le cartucce al posto della polvere separata. La cavalleria aveva in dotazione la sciabola da ufficiali e la carabina mod.1121, versione accorciata del fucile e più potente delle pistole allora utilizzate. Anche reggimenti di fanteria che avevano ottenuto di portare armi da mischia tipiche (in India e Africa), preferirono quella al moschetto d'ordinanza.
A completare l'equipaggiamento c'erano la tasca delle cartucce, una piccola pala e uno zaino floscio, che doveva contenere: bende, effetti personali, sacco a pelo e le note "gallette Jués", gallette d'emergenza impastate con carne di pesce o pollo o formaggio, che potevano durare mesi se ben imballate.

Ed ecco infine quali erano le suddivisioni:

fanteria:
-di linea: composta dai riservisti o dai volontari. Come in ogni altro esercito era la spina dorsale. La passamaneria era bianca;
-leggera: ogni cinque reggimenti, uno era di schermagliatori, che combattevano in ordine sparso e dovevano infastidire il nemico e mirare agli ufficiali. La passamaneria era bianca con una banda azzurra;
-corpi d'assalto: organizzati in brigate, erano 20 soldati a battaglione: volontari, erano scelti per la prestanza fisica. Armati di moschetto e granate, avevano il compito di guidare ogni assalto. Ricevevano paga doppia e la passamaneria era verde;
-genieri: raggruppati in brigate, avevano il compito di costruire e distruggere. Questa riforma introdusse per la prima volta il loro compito come una specializzazione nell'esercito granatino. Non combattevano quasi mai, ma a volte dovevano unirsi alle linee di fuoco. Passamaneria blu;
-fanti d'artiglieria: fanti prossimi al congedo o da reggimenti inaffidabili che venivano distaccati a protezione dell'artiglieria. Non avevano distinzioni.

cavalleria:
-corazzieri: in pratica arruolati solo in Europa, avevano la carabina, la sciabola d'ordinanza e una corazza con maniche di maglia ed elmo. Passamaneria nera;
-cavalleria leggera: termine ampio, che includeva molte qualità di cavalleria e anche le truppe cammellate. Bisogna notare che nessun corpo a cavallo utilizzò più le lance. La passamaneria era marrone;
-cavalleria della milizia: in pratica erano i dragoni, ma non erano addestrati al combattimento meglio della solita fanteria. Svolgevano compiti di protezione dei fianchi o riserva mobile. A partire dal 1726, alcune divisioni divennero professioniste e fu loro aggregata l'artiglieria a cavallo, completamente equotrainata. La passamaneria era a scacchi neri e bianchi;

artiglieria (passamaneria gialla): quella appiedata disponeva di colubrine e cannoni da 16 se era da campo, obici e mortai per quella d'assedio o fortezza. L'artiglieria a cavallo aveva le colubrine;

corpi speciali:
-Guardia: scelti tra i migliori soldati del regno, avevano una divisa completamente rossa con le passamanerie che competevano il loro reparto: fanteria di linea, corazzieri e artiglieria da campo. L'addestramento era intenso e venivano usati solo in casi particolari. Oltre alla Guardia di Granada, c'erano la Guardia Askia, ereditata dai re songhai e che serviva in Africa e la Guardia Tigre, composta da Tamil e Maratha. Il totale era di 60.000 uomini in totale.
-Ombre: questo atipico reggimento fu creato dal colonnelo al-Murati della Guardia. Propose al re di ricercare i migliori uomini delle tre Guardie e formare un reggimento che avrebbe condotto la guerra in modo atipico ed ebbe il permesso di selezionarli. Gli uomini in completo blu utilizzavano le armi da corpo a corpo, le pistole, i fucili e gli esplosivi. Furono utilizzati per attacchi segreti, sabotaggi, imboscate ai generali, operazioni di sbarco notturne e in altre occasioni in cui si richiedeva una preparazione fuori dal comune. Solo il re poteva permette ai generali di disporre dei loro battaglioni.

Ismail IV, toppe a un indumento logoro

La guerra di Giava II
Nel 1701, quando ancora non si presagiva nulla in India, a sud est avvenne il primo evento veramente importante della Guerra di Giava: nella notte del 3 giugno 23 navi da guerra granatine incrociarono 16 galeoni olandesi a est di Madura e nella battaglia che ne conseguì cinque navi della VOC furono catturate, a fronte di una affondata dall'altra parte. Questa vittoria permise a Sazaz di attuare un colpo di mano.
Una settimana dopo le sue navi forzarono il porto di Surabaya, la capitale estiva di Mataram, con i colori olandesi. Evitate le batterie costiere, Saraz inizio l'attacco, sbarcando e prendendo di sorpresa il sultano nel suo palazzo, bombardato. Con questa audace azione, fu catturato e lo stesso giorno, senza essere riuscito a opporre una resistenza efficace, dovette acconsentire a lasciare a Granada tutta la porzione occidentale del suo dominio tranne Batavia, compresa la stessa regione di Mataram e fu obbligato a insediarsi a Surabaya. Questa umiliazione portò a gravissimi dissidi negli anni a seguire frai due regni. Ad ogni modo, fino al 1720 circa de facto il Mataram continuò a governare su quelle terre, non arrivando nessun esercito da Granada a stabilire quel passaggio di poteri.


La controffensiva in Sindh
Le cose in Sindh, dopo la sconfitta, si assestarono per un attimo: il generale e il raja si accordarono per una tregua di un anno, uno perché non aveva forze per attaccare, l'altro perché erano sorti problemi in Sindh con i vecchi nobili e nel Marwar con il fratello del raja.
A Granada il nuovo re, Ismail IV era furioso per tale batosta e per la morte del padre. Alla notizia pensò di far destituire con disonore il vecchio Marathi, ma lo convinsero che umiliare una persona così importante presso il suo popolo, che si era sempre schierato dalla parte del regno, sarebbe stato folle. Accettò dunque la proposta di dargli ancora tempo e più soldati.
Per questo dovette ricorrere ai soldati iberici: era poco consigliabile drenare altri giovani dall'India.
Furono così istituiti i Corpi Riscattati, ossia un'insieme di ex-detenuti a cui era stata data la possibilità di arruolarsi e di ottenere una dimora nelle nuove terre conquistate. Tra penisola iberica e Francia furono raccolti 4200 carcerati desiderosi di entrare nell'esercito.
Questi 4200 avrebbero ricevuto un addestramento assai migliore delle solite leve granatine, poi sarebbero stati mandati fino al Sinai, dove navi turche e indiane li avrebbero portati in India giusto in tempo per la fine del monsone. All'ultimo momento furono informati che era stato conferito ai loro superiori il diritto di vita e di morte.
Al loro arrivo, entrambi i contendenti si erano ripresi e rafforzati. Ajmer e Udaipur non erano ancora riusciti (o meglio, non avevano trovato la voglia) di mandare il loro contributo, ma i due re erano abbastanza sicuri delle loro forze. Inoltre, potevano anche contare su diverse tribù baluci del Sindh, che ci avevano guadagnato dal regime rajput.
Anche Shivaji era in una posizione migliore, avendo ottenuto l'appoggio di alcuni signori del Sindh e poi il nuovo reparto.

Nel 1706 ripresero le ostilità, quando dei cavalieri baluci s'introdussero nel territorio occupato e bloccarono due chiatte sull'Indo destinate all'armata di Granada, ma i re non marciarono fino ai primi di maggio.
Iniziare una marcia nel periodo più caldo era considerata una pazzia, con temperature che sfioravano i 40 °C, ma i due raja si mossero di notte e, seppur lentamente, si avvicinarono a Shivaji.
Marciavano in due colonne, a ovest, costeggiando l'Indo, i guerrieri del Marwar, per un totale di 35000 persone, a est il nuovo raja del Sindh, Raja Thakur, che era succeduto al padre pochi mesi prima e che nutriva una forte competitività con l'alleato. I suoi 17000 uomini marciavano
Venuto a sapere questo tallone d'Achille, il generale marathi pensò di poter divere gli eserciti. Mandò i Corpi Riscattati nel forte di Allahyar Jo Tando, di argilla e fango, ma ben rifornito e fece spargere la voce tra le truppe di Thakur che il contingente in quel forte era molto più grande della realtà, una riserva che avrebbe dovuto attaccarlo una volta che si sarebbe riunito con l'alleato per l'attacco, così, senza avvertire Pabuji, si diresse verso il forte. Il condottiero avversario, appena fu sicuro che la trappola aveva funzionato, andò incontro ai 35000 che lo aspettavano con un esercito di circa la metà, muovendosi di notte.

Pronti allo scontro ed entrambi desiderosi di finire quello che avevano iniziato, all'alba del 7 maggio 1706 i generali arrivarono uno nel villaggio Matiari, l'altro a sud e si accamparono per lo scontro, che sarebbe iniziato al tramonto. Pabuji aveva capito solo da pochi giorni che Thakur si era allontanato, dato che anche i contatti avvenivano solo di notte, e che non avrebbe potuto partecipare alla battaglia, ma non si preoccupava: la sproporzione numerica e soldati più abituati al movimento notturno gli avrebbero dato la vittoria.
Le cose non andarono così. A mezzogiorno, quando buona parte dei Rajput era dispersa negli accampamenti a mangiare e lo stato maggiore si trovava nel villaggio -abbandonato al loro arrivo-, Shivaji fece mettere in posizione l'artiglieria a lungo raggio del Gujarat e bombardò l'abitato.
La sorpresa per tutti i bombardati, pigramente intenti a sopportare la canicola, fu enorme. Il generale di Granada nei giorni precedenti aveva chiesto un sacrificio ai suoi ed era quello. Prima ancora che le i reparti più lontani dal bombardamento capissero cosa stava succedendo, 1320 fanti marathi, senza alcuna protezione, entrarono in Matiari e con estrema ferocia eliminarono ogni resistenza fra le case e prendendo anche Shekha, ferito dai cannoni.
Nel frattempo anche gli soldati di Shivaji avevano attaccato nel caldo; la cavalleria disperdeva facilmente chi tentava di opporre una difesa nonostante la fatica dei cavalli e la fanteria aveva ragione degli agglomerati di tende. Era stata utilizzata la stessa tattica che aveva permesso il successo nella guerra del Gujarat, ma in questo caso non si trattò di una vittoria schiacciante. Il luogotenente del re raccolse i più di 20000 soldati che non erano stati fatti prigionieri o uccisi e li ricondusse a nord in buon ordine.

La fine della guerra
Due giorni dopo Thakur ricevette il messaggio dallo stesso alleato che gli diceva di deporre le armi e accettare la pace, quando oramai solo 500 difensori rimanevano nel forte. Rifiutò, ma levò l'assedio e si ritirò in cerca dei superstiti.
Tutte le mosse furono poi rimandate alla bella stagione.
Nel Gujarat, la popolazione di Bhuj massacrò la piccola guarnigione turca dopo una rissa in cui diversi abitanti erano stati uccisi, facendo scoppiare diversi disordini nella zona. Così le truppe del Gujarat furono mandate per convincere la gente a calmarsi ed evitare altri spargimenti di sangue e così fu.
Nel 1707, allora, ci si preparava a nuova battaglia. Shivaji ricevette altri 5000 uomini dalla Francia, dall'Italia e dalla Catalogna e fece un proclama accettato dal governatore Eduazdo Braba: i nobili del Sindh che avessero lasciato i Rajput e si fossero sottomessi a Granada, avrebbero avuto i loro privilegi, in maniera simile a quella del Gujarat, ma in compenso non avrebbero avuto limiti all'estensione dei loro territori.
Quando i comandanti dell'armata del Sindh presero contatto e si assicurano della veridicità dell'affermazione, abbandonarono Thakur e si proclamarono servitori di Ismail IV.
Lasciato solo ma intoccato, il raja fuggì assieme ai suoi uomini presso l'alleato, il cui comandante però in quel momento voleva raggiungere la patria. Quest'idea non era neanche presa in considerazione da Thakur, che voleva il suo trono e dai subordinati del secondo di Shekha, per cui ritirarsi senza combattere sarebbe stato disonorevole. Nonostante ciò, quando pure dei Sindhi dal cosiddetto "piccolo Sindh", attorno a Karachi, si armarono e partirono come volontari per Granada, si concluse che era preferibile ritirarsi, almeno per quella stagione. Ma furono battuti in velocità: quando le spie avvertirono che si sarebbero diretti verso il Marwar passando per Umerkot, le forze congiunte li batterono in velocità con marce forzate e giunsero nella città prima dei nemici. Il re prigioniero, tra l'altro, era stato preso con loro.
Il 4 febbraio 1707, le avanguardie di Marwar non credevano ai loro occhi: davanti a loro gli avversari, nonostante la velocità che avevano tenuto. Il forte di Umerkot, che avrebbe dovuto essere quasi sgombro, era il perno di 20000 nemici.
Dopo le prime schermaglie, anche i fieri Rajput si rassegnarono: morire per aver difeso quella terra ostile non valeva la pena. Alla vista dei suoi uomini che parlamentavano, Shakha capì che doveva assecondarli e così accettò la richiesta di Bhonsle: il Sindh dei raja sarebbe diventato dominio granatino secondo i termini stabiliti in precedenza; Shakha invece sarebbe rimasto re di Marwar sotto l'amministrazione nuova, rango pari a quello del governatore indiano. L'esercito che doveva tornare a casa fu lasciato andare, così come i prigionieri.
Gli altri due regni, senza aver fatto nulla, chiesero la pace, che fu concessa. La guerra era finita, con una grande vittoria di Granada. Shivaji, rimanendo con l'armata tra Sindh e Marwar per stabilizzare la situazione, invitò Ismail IV a recarsi lì, per poter celebrare in loco e visitare i nuovi territori; il re accettò subito.
Ma l'età del vecchio Shivaji Bhonsle era avanzatissima; mentalmente era come se avesse trent'anni, il corpo aveva risentito di quei mesi in campagna. Lo stesso giorno dell'arrivo del re nel Gujarat, il generale e capo Marathi morì dopo qualche giorno di agonia. Il sovrano presenziò al funerale, rendendogli omaggio come un proprio pari.

Muhammad XVII, le guerre oltremare, le esplorazioni II

Il sovrano in patria
La storiografia immediatamente successiva al re non gli riserva un grande spazio, nonostante un regno piuttosto lungo e due guerre lasciate in eredità. Chiamato "il re segretario" perché, a parte qualche importante scelta in politica estera, il suo fu un governo che oggi definiremmo squisitamente tecnico. Come dice Kargiylov:

Muhammad XVII, monarca di transizione tra il padre Faraj I e il figlio Ismail IV, non aveva la spregiudicatezza del primo né il carisma del secondo. S'imbarcò in due guerre che avrebbero portato a un nuovo assetto in Asia ma non riuscì a finirne nessuna. Rispetto al genitore, nella gestione dello stato o nei rapporti internazionali non cambiò nulla. Eppure fu un buon monarca: si può dire che faceva sempre la scelta giusta al momento giusto, né più né meno. Dirimette ogni controversia, contenne senza alcun problema le popolazioni vessate dalla tratta degli schiavi. Fu il primo a servirsi con successo del Consiglio. Era la persona giusta per il suo tempo, che preparava nuovi, grandi avvenimenti. Tuttavia, per la sua intera vita dovette subire le maldicenze, a causa del suo carattere pacato e della presunta ignavia.

Al proposito del Consiglio, Muhammad fece costruire il primo palazzo dedicato unicamente alle sue sedute, essendo il palazzo reale stretto per i suoi gusti. La nuova sede non fu costruita a Granada, ma a Siviglia, per marcare la distinzione fra il potere regale e quello dei nobili. Inoltre, unico altra costruzione degna di nota, nel 1698 fu completato il "Piccolo Generalife", il palazzo d'estate non più a Granada, ma Jaen.

Yusuf an-Nadir e Pietro della Fracchia
Fu tra il 1685 e il 1697 che questi due navigatori allargarono il mondo conosciuto. Brevemente:

Yusuf era originario di Socotra. A 15 anni s'imbarcò sulla nave del padre, mercante abbastanza ricco; sei anni dopo, ereditando la sua attività, chiese finanziamenti agli Iacossa, gli storici banchieri di Granada, perché voleva tracciare una mappa precisa delle isole del sud-est asiatico e battere gli Inglesi, che avevano basi in Australia meridionale, nello sfruttamento delle risorse. Ci riuscì, dando il primo prospetto totale della regione, ma la sua impresa non fruttò sufficientemente e fallì.

Pietro della Fracchia era invece un personaggio diverso. Genovese, ma di origini probabilmente garfagnane, era figlio di un umile sarto. Notando il particolare talento del ragazzo, il padre con molti sacrifici lo fece studiare alla facoltà di medicina, ma Pietro preferiva di gran lunga studiare le lingue. Ottenne l'appoggio di Agostino Spinola, che lo assunse come interprete per i suoi commerci. Arrivò all'attenzione del re nel 1690, quando fu licenziato da Spinola e venne assunto dal conte di Évora, che divenne poco dopo Ministro degli Interni. Muhammad, notando la sua abilità per le lingue (all'epoca sapeva il genovese, l'italiano, il latino, il catalano, il portoghese e l'arabo) gli propose di guidare una spedizione a cui aveva pensato da tempo: avrebbe dovuto viaggiare per l'America centrale e settentrionale, per offrire un resoconto esatto della maggior porzione di continente possibile.
Partendo dall'Impero Azteco a capo di cinquecento uomini tra scorta e studiosi e con molte peripezie, per i successivi sei anni viaggiò in lungo e in largo l'America, incontrando molte tribù e dando così molte nuove informazioni al mondo sull'interno del continente.
Al ritorno scrisse "De la gente nuova", trattato geografico su quanto appreso. Divenne in seguito l'ambasciatore di Granada a Mexico e vi morì.

La prima guerra dei Rajput
Sin dalla conquista nel tardo XV secolo, i reami Rajput, grazie alla loro ostinata resistenza a Delhi, avevano goduto in seno al sultanato di numerose autonomie. Ciò però non aveva spento il loro indipendentismo.
Attorno al 1500 molti piccoli signori guerrieri s'erano spostati nel Sindh, al seguito della conquista di Delhi e lì avevano soppiantato buona parte della casta dominante sociale, facendo quindi entrare a buon titolo il Sindh tra i regni Rajput.
Tra 1699 e 1703 Delhi si trovò in una grande crisi: il Madya Pradesh, colpito da una serie di carestie e dalla peste, era in subbuglio a causa dei pesanti tributi da pagare; in più il Mysore, dopo aver definitivamente eliminato l'ultima resistenza da parte del Vijayanagara, si preparava a invadere le regioni a maggioranza indù di Delhi, che non avrebbe potuto contare su molto appoggio da parte degli alleati.
Approfittando di ciò, diversi Raja fecero l'azzardo. Nel 1702 i regni di Sindh, Marwar (regno ora incentrato su Jodhpur e quindi più piccolo del predecessore), Ajmer e Udaipur si allearono e dichiararono l'indipendenza da Delhi. Il sultano chiese aiuto agli Ottomani, in nome dell'alleanza, ma questi erano troppo occupati a presidiare la Persia per dare un aiuto maggiore di qualche corpo di cavalleria mandato nel Madya Pradesh. Allora ci si rivolse a Granada.
Il Primo Ministro, Fernando Alfriz, propose al re questa mossa: Granada avrebbe comprato per i pochi territori granatini in Persia e una grossa quantità di cereali che lo Stato ogni anno comprava dal surplus dei contadini per avere scorte in caso di guerra o carestia, il diritto di conquistare senza interventi dei precedenti dominatori i regni ribelli. La proposta fu accettata sia dal re sia dal Consiglio. Granada infatti bramava il cotone e il té di quelle terre, all'epoca considerati molto pregiati (il té in particolare stava ascendendo a una grande popolarità presso l'aristocrazia). Con poche scelte, il sultano dovette accettare la proposta.

Fu decisa una composizione del corpo molto simile a quella che aveva invaso il Gujarat, con in più un contingente gujarati; il comando fu affidato a Braba (il quale morì prima che gli arrivasse la nomina), quindi all'anziano ed esperto Shivaji Bhonsle, che era stato il comandante della sua divisione nella precedente guerra.
Muhammad decise però di partecipare personalmente all'invasione, unendosi alla cavalleria maghrebina con 100 guardie scelte. Ancora oggi è oscuro il motivo di quella scelta: forse era per le accuse che incominciavano a girare nella corte di pigrizia, fatto sta che il re diede la reggenza al figlio Ismail e partì per l'India. In questa impresa però non volle assumere il comando, ma si aggregò semplicemente come "consigliere" di Shivaji.

Infine nel 1703 l'armata, sui 16000 soldati, partì dal Gujarat per invadere il Sindh, l'unico regno che confinante.
Dopo il primo successo a Khorewah contro le avanguardie, l'esercito passò l'Indo e sconfisse con facilità i nemici al Lago Karli, poiché i contrasti tra signori rajput e i Sindhi erano ancora molto grandi. Uno di loro addirittura si unì a Muhammad. Sconfitta un'armata più o meno pari di numero con perdite nell'ordine delle centinaia, i granatini risalirono il fiume e lo attraversarono di nuovo, per assediare la capitale appena fondata di Neroon Kot, che fu presa a metà del 1704, dopo un assedio di 10 mesi. Il raja era intanto fuggito a Sukkur e, raccolti i suoi comandanti più fidati, aveva atteso l'arrivo degli alleati di Marwar. Fino ad allora la campagna nel Sindh era sembrata una passeggiata.

Pabuji Shekha, il raja di Marwar, arrivò con diecimila soldati, unendosi ad altrettanti del Sindh, nel 1705.
L'armata così composta marciò verso sud, scendendo verso l'Indo e il Marathi lasciò Neroon Kot e gli andò incontro, lasciando una buona guarnigione nella città. A marce forzate Shivaji raggiunse un'ansa sulla sponda sinistra del fiume, vicino il villaggio di Abad , in cui si posizionò coprendosi i fianchi con lo stesso fiume. Inoltre preparò un ponte di barche immediatamente dietro lo schieramento per ritirarsi in caso di necessità, premurandosi di far tagliare gli altri a nord e a sud.
Due giorni dopo il completamento delle opere di difesa, due volte tanto gli uomini di Granda si presentarono i soldati dei raja.
Lo scambio di artiglieria durò quasi un'ora. Infine, non potendo passare in altri posti l'Indo e senza alternative per smuovere i nemici, Pabuji si vide costretto a ordinare la carica alle fortificazioni. Shivaji aveva visto giusto: la posizione scelta annullava la disparità numerica, tuttavia l'artiglieria al centro aveva indebolito gli uomini, permettendo lo sfondamento.
A quel pericolo, Muhammad, il re che non aveva mai combattuto personalmente, chiamò a raccolta la cavalleria e caricò.
La massa di cavalieri respinse gli uomini che si erano incuneati e come un ago penetrò tra gli altri, rimanendo però isolata. Bhonsle, vedendo che i suoi uomini stavano cercando di tornare indietro, potè solo far sparare i cannoni, che fecero allentare la presa dei Rajput. I cavalieri rientrarono nei ranghi, ma in quel momento si accorsero che il re mancava. Il re era caduto. Il suo corpo non fu mai trovato.
Dopo altre ore di combattimento, Pabuji vedeva i nemici arretrare sempre di più, ma i suoi soldati non riuscirono a inseguirli con successo, stancati a morte. Quando riuscì a riorganizzarli per inseguire la retroguardia, che si stava avviando al ponte, dopo che il grosso dei superstiti era già in salvo: l'artiglieria granatina, sulla sponda opposta, lo evitò, obbligando gli inseguitori a fermarsi. Il generale fece bruciare il ponte.
Abad fu una grossa batosta per l'invasione: si salvarono solo 6597 uomini, dal conteggio che fu fatto immediatamente dopo. E peggio ancora, il re rimase sul campo.
Neanche i difensori poterono gioire più di tanto: avevano sì annichilito l'esercito invasore, ma avevano perso molti uomini nell'assalto e anche loro avevano bisogno di riposarsi, riposo che permise ai fuggitivi di tornare a Neroon Kot.
Questa era una situazione d'emergenza e così Ismail dovette iniziare il suo regno ufficiale.
Le guerre dei Rajput. Segnati i confini dei regni e le date di annessione

Muhammad XVII, la guerre oltremare, le esplorazioni I

Faraj con la moglie Manal ebbe quattro figli, di cui morì solo il terzogenito.
Quando morì nel 1678, lasciava i tre figli, anche loro ormai padri e la moglie, che però decedette l'anno dopo. Allora il primogenito Muhammad, diciassettesimo, fu incoronato alla presenza del Consiglio.

L'Impero Ottomano in Persia

Pochi anni dopo la successione, il vizir ottomano si mosse per consolidare il potere della Sublime Porta in Persia. Nel 1681, con l'appoggio di Balkh, dichiarò l'assemblea governante del Khorasan decaduta e fece occupare militarmente il paese. Questo non cambiò molto le cose, dato che l'assemblea aveva sempre più perduto i suoi poteri nel corso degli anni. Il grande Khorasan fu quindi annesso. Gli ex membri dell'assemblea tennero alcuni privilegi, ma non fu comunque difficile controllari, essendo tutti favorevoli al governo ottomano.
L'anno successivo si presentò un'altra ghiottissima occasione: il Ferghana tentò un'invasione lampo di Balkh, contando nella velocità per concludere una pace vantaggiosa coi potenti alleati. Tuttavia l'esercito di Mustafa Pasha era già disponibile. Con incredibile velocità raccolse i suoi uomini e incontrò i nemici a Termez, che sconfisse.
Mentre era ancora nel territorio di Balkh, aspettando l'ordine dal vizir di entrare in Ferghana o no, questo lo informò che aveva siglato una pace bianca e gli ordinò di obbligare il regnante a sottomettersi a Istanbul.
Con la minaccia dell'esercito, l'emiro dovette essere accomodante e accettò suo malgrado la vassallizzazione.
Con quella mossa l'Impero Ottomano consolidò definitivamente il suo dominio sulla Persia.

I primi conflitti contro l'Olanda, l'inizio della guerra di Java
Già da diversi anni esistevano dei contrasti fra Granada e Paesi Bassi sul commercio verso l'Oriente: le due nazioni erano le uniche intermediarie con il Giappone, con cui rischiavano costantemente una chiusura degli empori. Alla fragilità dei commerci con l'Impero del Sol Levante, si aggiungeva l'instabilità politica nelle Isole della Sonda, le Molucche e le regioni limitrofe, che poteva precludere in ogni momento l'accesso dei mercanti alle preziose risorse.
Per assicurarsi una base e uno scalo nell'area, la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (VOC) nel 1670 aveva comprato al potente sultanato di Mataram la città di Jakarta, ribattezzata Batavia. Due anni dopo era sbarcata a Timor, incominciando lentamente a consolidare la posizione nell'isola.
Sempre nel 1672 mille soldati indiani e altrettanti di Sumbawa erano sbarcati a Sumba, prendendone possesso in nome di Granada. Comunque, il controllo non si spinse per molto tempo oltre i pochi insediamenti sulla costa, anche se i rapporti con le comunità isolane furono sempre amichevoli.

Muhammad XVII iniziò subito dopo la sua incoronazione a concedere segretamente lettere di corsa a pirati, per la maggior parte tamil, contro i mercantili olandesi e in seguito di Mataram. Soprattutto, il governatore generale di Sumbawa e Sumba, Francisco Gualde riuscì a raccogliere i più forti pirati della zona e ne guadagnò i servigi contro le navi olandesi in cambio dell'impunità e dell'accesso ai porti. Il che significava per i pirati avere un grande alleato, essendo rifiutati dalla maggior parte dei potentati. In più, sempre il governatore si era alleato personalmente nel 1674 con la sultana dell'Atjeh Taj ul-Alam, che cercava un aiuto nel probabile scontro contro il sultanato di Siak (tale alleanza fu poi ufficializzata dal regno coi successori Muhammad XVII e Nurul Alam).

I continui attacchi alle navi olandesi ovviamente non erano accettabili.
Nel 1684 il governatore generale della VOC Johannes Camphuys, oramai sicuro che Granada era la principale macchinatrice, mandò due navi a bombardare il porto di Bima, a Sumbawa.
Con l'autonomia che aveva la VOC, il governo di Amsterdam non riconobbe quell'atto come proprio e quindi indirizzò l'ambasciatore di Granada, se voleva, alla stessa Compagnia per la richiesta di risarcimento. Però non condannò di certo l'atto.
Con il rifiuto, il Consiglio nnel 1685 votò per la dichiarazione di guerra alla VOC, non potendo attaccare il paese a cui faceva riferimento.
Fu quindi l'inizio della Guerra di Java, che avrebbe contrapposto per i successivi trent'anni le forze olandesi con i sultanati di Siak e Mataram contro quelli di Makassar e Atjeh più altri minori, alleati di Granada.
Camphuys

I primi anni ad ogni modo non furono ricchi di eventi (costituiscono la cosiddetta parte navale della guerra). Il 1685 trascorse come prima, con gli stessi attacchi al naviglio olandese e gli furono chiusi i porti. L'anno seguente la flotta d'India si presentò al completo di fronte a Batavia, che bombardò. Essendosi la guarnigione olandese ritirata nella cittadella a causa dello scarso numero, l'ammiraglio Sazaz sbarcò e fece dare alle fiamme la città.
Muhammad quindi diede apertamente le lettere di corsa e incaricò Sazaz di eliminare la flotta da guerra della VOC, ma non si giunse mai a uno scontro decisivo. Stessa cosa la Compagnia fece dal canto suo; inoltre, poiché il nemico controllava una grossa fetta della costa africana, le rotte dovettero essere spostate per Capo Horn.
La guerra non assunse toni seri fino al 1701, con il primo intervento di Siak, componendosi di numerosi scontri tra singole navi in un'area piuttosto vasta, dalle isole Comore alle Rykyu.

1650-1680: gli affari interni

Gestione dello stato
Con Faraj vennero poste le basi per un ulteriore miglioramento della burocrazia del regno, regolamentando i ruoli dei ministri e del vizir.
Fino ad allora, infatti, ogni sovrano aveva governato piuttosto liberamente: non esistevano ruoli fissi per i collaboratori del re. Chiunque aspirasse a diventare ministro regio, doveva prima riuscire a entrare nell'entourage di parenti o amici del re. Se questo notava un particolare talento in uno di essi ed egli otteneva una raccomandazione dal suo signore, potevano essere presi in considerazione per un compito unico o a tempo indeterminato ad amministrare un certo settore. Se poi il re decideva di non averne più bisogno o voleva cambiarlo, poteva destituire il proprio ministro e sceglierne un altro, oppure richiamarlo. A volte si ebbero più ministri contemporaneamente per lo stesso campo, come il tesoro, ma ognuno si occupava unicamente di un'area tributaria del regno.
In caso di eccellente impressione sul monarca, un ministro poteva essere designato come gran vizir, sul modello ottomano, che in pratica si accollava metà delle incombenze del re.
Questo sistema nei secoli aveva però creato un sistema di poche decine di famiglie, che erano cambiate solo parzialmente con l'entrata in scena del nuovo ramo dei Nasridi, a cui i re si affidavano completamente per la scelta di nuovi collaboratori. Con ciò erano stati sì trovati buoni consiglieri e ministri, ma oramai la maggior parte degli uomini presentati lo erano grazie a favori e debiti: ogni famiglia borghese affermata o della piccola e media nobiltà che volesse assicurare un avvenire al figlio, poteva ottenerne la raccomandazione pagando in vario modo. Oltre alla retribuzione elevata, un solo anno anche in compiti non troppo importanti come l'Ufficio dei rapporti religiosi (il meno pagato e il più spesso vacante, che si occupava di dirimere i piccoli conflitti interconfessionali nel regno) dava un prestigio tale da avere la precedenza per gli impieghi al servizio presso parecchi aristocratici.
Tale situazione non era accettabile per Faraj e alcune famiglie aristocratiche, che vedevano i succitati loro pari aumentare la loro influenza nel regno. Unico freno a una riforma era il fatto che Faraj avrebbe dovuto danneggiare anche molti suoi parenti. Però, con le insistenze dei favorevoli al cambiamento e del numeroso seguito che avevano raccolto, la ragion di stato prevalse. Nel 1656 fu stabilito un nuovo modo per scegliere gli amministratori dello stato.
Il re avrebbe scelto personalmente ogni ministro e questi sarebbe stato ancora destituibile e comunque al sovrano spettava l'approvazione di ogni mossa, ma niente più plurimi ministri per lo stesso ministero. A loro sarebbe spettata l'eventuale scelta di collaboratori. In contemporanea il Consiglio Generale (spesso ad effettivi ridottissimi) avrebbe dovuto esaminare i candidati proposti dai suoi stessi membri e votare tre nomi da fornire come possibili sostituti (e darne di nuovi in caso di depennamento per qualche motivo di uno di questi). Il Gran Vizir invece sarebbe stato scelto senza altre opzioni dal re.
Un sistema insolito, che però riuscì a limitare la corruzione delle cariche governative.
Teodosio conte di Bonfim, primo gran vizir sotto il nuovo ordinamento.


Arte e fede al tempo di Faraj
Come detto precedentemente, Faraj fu un grande mecenate e patrono degli scienziati, ma si presume più per competere con gli altri sovrani dell'epoca che per effettivi interessi.
Sebbene un pio musulmano dai costumi andalusi integerrimi, nella letteratura preferì sempre la letteratura mozarabica a quella di altre lingue. Sotto il suo patronato, con poeti come Abraham Nivar, i dialetti mozarabici vissero la loro ultima stagione di gloria letteraria, dato che l'arabo, il castigliano e il catalano si stavano oramai sostituendo alle altre come lingue colte nel sud.
Gli scrittori trattavano temi molto lirici e spesso popolari, dato che gli ultimi cristiani a parlare quelle lingue erano rimaste le fasce basse della popolazione.
Questa tendenza letteraria rimase però legata all'ambiente di corte e al supporto regale.
Completamente antiteci, furono i movimenti culturali che dalla seconda metà del 1600 al 1700 si svilupparono in seno all'aristocrazia, che faceva a gara a emulare il sovrano in mecenatismo. Questi movimenti, oltre a riferirsi alle arti, influenzavano anche i costumi e la moda dei facenti parte.
Il più diffuso fu l'arabismo, stile sempreverde, che si rifaceva ai classici della cultura e, come al solito, fu tipico dei signori arabi e berberi, che si vedevano minacciati nel loro status. In questo periodo, comunque, l'arabismo conquistò anche molti signori africani e alcuni spagnoli;
il turchismo, molto in voga tra in Tunisia e nell'India granatina settentrionale. Oltre ai modi della nobiltà anatolica e una grande valutazione della carriera militare, la cultura persiana tornò alla ribalta e i maggiori musicisti dell'epoca furono i membri del turchismo, la cui musica combinava le sonorità turche a quelle persiane tradizionali.
Notevole fu anche lo sceicco Asad al-Samir, che tradusse l'Avesta in arabo.
Sviluppatosi nei territori francesi, il francesismo si rifaceva completamente al vicino settentrionale. Gran parte dei nobili italiani si unì a un "circuito" comune di artisti e idee tra Francia e Italia;
infine vi furono lo spagnolismo e l'indianismo, probabilmente nomi impropri coniati per imitazione dei precedenti. Il primo raccolse la maggior parte dei nobili iberici cristiani che iniziarono a ostentare il loro retaggio culturale cristiano quasi a volersi opporre all'arabismo. Similmente accadde col secondo, nell'India meridionale e nello Sri Lanka con l'induismo.

Per quanto riguarda la religione, il periodo di Faraj vide i maggiori successi della Compagnia di Predicazione, che convertì vaste fette dell'Africa non "schiavizzabile".
Il pluralismo religioso fu quello di sempre, ma in questo periodo il re non contribuì alla costruzione di alcun luogo di culto non islamico, cosa che in diversa misura i predecessori avevano fatto per ragioni d'immagine.


1650-1680: le guerre

L'ultimo trentennio di Faraj I fu caratterizzato da altre due guerre: quella per la successione estense e la seconda guerra del Gujarat.

La guerra di successione
Nel 1658 morì Francesco I d'Este, difendendo con successo Ferrara dai pontifici. Al trono quindi salì Alfonso IV, che per continuare la difesa del ducato dallo Stato Pontificio e da Napoli si rivolse a Costantinopoli, non riuscendo a convincere Venezia, l'Impero o la Francia, colpiti da una grande epidemia di colera.
Alessandro VII cambiò obiettivi: rinunciò al controllo diretto del ducato, ma sostenne un parente di Francesco, Carlo Filippo, in cambio della sua fedeltà.
All'inizio l'Impero Ottomano inviò solo dei fondi al duca. Nonostante il copioso flusso monetario, Alfonso non riuscì a racimolare un grande esercito. Nel 1662 i soldati estensi incontrarono quelli papalini a Faenza. La battaglia all'inizio sembrò favorevole ai difensori, ma quando una palla di cannone colpì in pieno il duca, l'esercito si sfaldò. Carlo Filippo potè facilmente prendere possesso del regno.
A questo punto intervenne Costantinopoli: perso un alleato, chiese al re di Napoli la destituzione del nuovo duca. Non volendo rischiare una nuova guerra, re Carlo chiese al papa di farlo, pressato anche dalle insistenze di Granada. Alessandro non volle accettare, ma ai due sovrani fu concesso di poter rimanere neutrali e abbandonare l'estense alla mercè turca. Questi però aveva già fiutato cosa stava succedendo e così chiese aiuto al sacro romano imperatore, che gli inviò un contingente bavarese.
Nel 1663 allora un'armata granatina entrò dalla Toscana nel ducato, battendo i Bavaresi a Modena e prendendola, mentre i Turchi sbarcarono a Ravenna e batterono Carlo Filippo a Comacchio, che fuggì in esilio.
Velocemente il SRI fu estromesso senza ulteriore spargimento di sangue e il figlio di Alfonso, Francesco II, fu installato sul trono e divenne un subordinato dell'Impero Ottomano. Granada si tenne Modena come indennizzo.
Carlo Filippo d'Este

Il conflitto nel Gujarat
Nel 1667 Muhammad Shah VI di Gujarat, preoccupato per lo strapotere dei mercanti di Granada nel suo regno, tentò di limitarne i privilegi economici concessi dopo la prima guerra del Gujarat.
Riportò quindi allo stardard i vari dazi e tolse a quei mercanti diversi servizi pagati dallo stato.
Subito le compagnie commerciali si lamentarono con il governatore indiano, che per convincere il sultano ad abbandonare l'idea mandò la flotta di Cuddalore all'isola di Diu, utilizzata come porto per i mercanti.
Il sultano arrivò subito e, per nulla impressionato, senza neanche ricevere l'ammiraglio Flodeo e diede il permesso al forte sull'isola di sparare alle navi. I cannoni fecero poco, ma il forte vento obbligò la flotta ad andarsene.
Tale atto coincise con l'arrivo anticipato del monsone, che impedì ogni altra azione per quell'anno. Il messaggio di quell'atto ostile tuttavia raggiunse Granada, assieme all'ultimatum di Muhammad: o il re avrebbe accettato le nuove condizioni o i mercanti sarebbero stati espulsi definitivamente; egli non temeva l'alleanza, avendo avuto tempo per preparare il sultanato alla guerra con una serie di forti di frontiera e un esercito ben addestrato. Anche se non avesse avuto una vittoria, avrebbe impegnato i nemici per molto tempo.
Dal canto suo, Faraj non poteva permettersi di perdere definitivamente il Gujarat, poiché era il principale centro commerciale dell'India settentrionale e buona parte dei beni di lusso dal Mysore al Tibet potevano essere comprate a basso prezzo e immesse nel mercato di Granada.
Faraj era indeciso sul da farsi, poiché non gli piaceva l'idea di dichiarare guerra a un sovrano islamico.
Non riuscendo a decidersi, indisse la seduta consultiva del Consiglio Generale.
Quella fu una delle poche volte in cui la maggior parte dei nobili si riunì, giungendo sin da Sumbawa. Molti avevano interesse ai privilegi mercantili, essendo i principali clienti o soci delle compagnie e il Gujarat non le avrebbe ripristinate senza una sconfitta; altri erano favorevoli alla guerra sperando di potervi partecipare direttamente. Il Consiglio quindi facilmente raggiunse la deliberazione per l'entrata in guerra e Faraj si adeguò alla decisione.
Nel 1668 scoppiò quindi la guerra. Il re era restio a impelagarsi in India e sperava ancora in una soluzione diplomatica, così chiese agli alleati solo l'embargo al sultanato.
In inverno l'ammiraglio Flodeo intercettò una flotta del Gujarat presso le Laccadive, in viaggio per offrire l'alleanza con una dimostrazione di forza al re delle Maldive e possibilmente al sultano di Sri Lanka.
Preso di sorpresa perché pensava che le navi granatine fossero ancora alla fonda per le riparazioni annuali, Sunil Mafhor Bhai dovette affrontare i nemici mentre la sua squadra si stava rifornendo.
Nonostante il numero maggiore di navi, Flodeo ne prese più della metà soprendendole a Kavaratti; l'ammiraglio del Gujarat tentò d'intrappolare i nemici nascondendo metà flotta ad Agatti e spuntando mentre gli equipaggi combattevano, ma la potenza di fuoco delle navi granatine era maggiore e fu costretto a fuggire con le navi che avevano resistito, poco più della metà.
Con questa vittoria, dovuta a una manovra azzardata del sultano, la flotta fu in grado di anteporre alle centinaia di navi di piccola stazza rimaste e tre con più di 20 cannoni una decina di galeoni e sessantaquattro imbarcazioni piccole. Con questa forza, i piccoli vascelli indiani poterono quasi bloccare i traffici marittimi del Gujarat senza trovare vera resistenza.
In inverno finalmente giunsero in India i soldati somali e la cavalleria maghrebina per unirsi alle truppe locali.
Da Mumbai allora partirono circa 2000 Somali e altrettanti cavalieri, 11000 Tamil e 6000 Marathi, che sbarcarono in una zona imprecisata della penisola del Kathiawar, sotto il comando di Estêvão Braba.
L'armata, dopo una settimana impiegata a riorganizzarsi e scaricare le salmerie, si diresse verso Palitana, la città santa del giainismo, che difficilmente avrebbe opposto resistenza.
Muhammad Shah non voleva assolutamente che gli invasori s'impadronissero di una qualsiasi città importante prima di dar battaglia, così riuscì a giungere prima di loro alla città e fortificarsi in attesa, con un esercito più o meno di pari dimensioni, quanto era riuscito a portare lì in tempo.

La battaglia si svolse a sud di Palitana.
Braba divise la fanteria in tre parti e tenne in un'unica lunga linea la cavalleria dietro. Muhammad invece dispose la fanteria in un solo corpo di numerose file e tutta la cavalleria fu messa sulla destra. Poco prima della battaglia altri 3000 cavalieri del Gujarat arrivarono, che si misero dietro al primo raggruppamento di cavalleria. Entrambi gli schieramenti schieravano le artiglierie l'una di fronte all'altra.
La battaglia iniziò nel tardo pomeriggio: il generale portoghese doveva attaccare il prima possibile prima che si aggiungessero altri contingenti; i cannoni iniziarono a confrontarsi, ma quelli del Gujarat avevano una gittata maggiore ed erano al riparo, così gli artiglieri marathi dovettero ritirarsi.
Seguì la carica generale della cavalleria del Gujarat, che investì i Somali; immediatamente dopo quella della cavalleria del Maghreb. Tuttavia quest'ultima fu ostacolata dai quadrati dei Somali, che obbligarono a rompere la linea. Ciò permise ai nemici di avere la meglio, decimando la fanteria e mandando in rotta la cavalleria. Il cedimento del fianco sinistro fu evitato dai Marathi, che abbandonarono il centro e obbligarono i cavalieri a ritarsi.
Nel frattempo, notando tale manovra, Muhammad Shah ordinò l'attacco della fanteria e l'artiglieria cessò il bombardamento. I Tamil quindi si mossero per contrastarli, decisamente inferiori di numero e martoriati dai cannoni. Improvvisamente, però, dalla polvere uscirono i Marathi, che avevano vinto lo scontro e di corsa erano arrivati; attaccati sul fianco ed impauriti, i soldati del sultano vacillarono e iniziarono a fuggire. Tale fuga rischiò di tramutarsi in disastro con l'arrivo da dietro di un reparto di cavalleria granatina ritornato in battaglia, ma quella del Gujarat riprese la posizione e li ricacciò indietro, aprendo la via di fuga. Vedendo che non c'era speranza di richiamare tutti, Muhammad ordinò ai suoi comandanti di disingaggiarsi sfruttando il buio che aumentava.
Lo scontro durò solo tre ore, ma i morti furono in totale tre migliaia. L'esercito difensore fu costretto ad abbandonare la città, malmesso nel morale ma non troppo negli effettivi.
Due settimane dopo, ripresasi, l'armata granatina tornava in marcia, dirigendosi verso Gariadhar. Nuovamente trovarono la strada bloccata. Dopo alcune schermaglie, i due opponenti si accamparono per la notte, per dar battaglia il giorno dopo. Nella notte i due generali decisero di mandare delle pattuglie appiedate per puzecchiare gli uomini accampati. Incontratesi, incominciarono delle zuffe, i cui rumori misero in allarme tutti. E a questo punto il comandante della cavalleria, Faruq abu Yahya, famoso per la sua spregiudicatezza, fece montare in sella i suoi uomini che aveva già fatto tener pronti e li guidò in una carica sotto la luna piena verso l'accampamento nemico, in stato di agitazione. Resosi conto di quanto accadeva, Braba dovette ordinare al resto dell'esercito di seguire lo sconsiderato abu Yahya (che, tra l'altro, morì di colera poco tempo dopo).
La cavalleria riuscì comunque nel suo intento, facendosi strada tra i soldati spaventati e giungendo sino alle tende dello stato maggiore, catturandolo completamente. Nel mentre i drappelli di cavalieri galoppavano per impedire agli avversari di riorganizzarsi; con incredibile velocità sopraggiunsero anche i fanti indiani, molti praticamente seminudi. L'arrivo di altri soldati fece cedere definitivamente il morale degli altri, che a tutto erano preparati meno a un attacco notturno. La grande armata, una volta e mezza quella di Braba, si sciolse. Muhammad Shah, prigioniero, capitolò. Il Gujarat sarebbe diventato un possedimento di Granada; i sultani avrebbero mantenuto qualche autonomia, ma ben poche rispetto ai governatori provinciali e sarebbero stati affiancati da Estêvão Braba e dai suoi discendenti. Inoltre sarebbero stati costruiti molti presidi nelle città più importanti della regione. Questo dominio tuttavia per molto tempo dovette essere rafforzato dalle milizie ottomane.



martedì 10 aprile 2007

Uno sguardo d'insieme all'Europa e al mondo

La cristianità in cambiamento
La formazione dell'enorme alleanza (quasi) panislamica influenzò anche gli equilibri politici europei. Come una tenaglia a sud ovest e a sud est che dominava il Mediterraneo, gli stati europei si mantennero in uno strano equilibrio, non amichevole ma piuttosto pacifico, per non avere nemici alle spalle e tentarono di non inimicarsi troppo i "mori". Per la stessa ragione, i contrasti religiosi della prima metà del secolo scorso erano ormai scomparsi, poiché non era nell'interesse di nessuno combattere con due regni pronti alla guerra alle frontiere della cristianità. Pure papa Innocenzo X, de facto un fantoccio del regno di Napoli (unico nella cristianità a essersi opposto con successo agli Ottomani e ai Nasridi), era stato costretto dalla necessità politica a mitigare il suo atteggiamento verso i protestanti e riconoscere definitivamente i domini granatini in Italia, sempre una minaccia per lo Stato Pontificio.
Tale forte legame tra regno di Granada e Impero Ottomano non mancò di attirare satire e attacchi. L'alleanza dei tre regni maggiori venne chiamata "le Parche terrene"; uno scrittore del 1700 definì Granada e Istanbul come le "città del ladro e città dell'assassino", che presto divenne "la prostituta e l'assassino".

In Europa comparvero due atteggiamenti, anche in paesi molto legati fra di loro: quello che vedeva i due scomodi vicini come una minaccia da non sottovalutare e quindi voleva stringere il più possibile i rapporti con le altre nazioni e quello che, pur mantenendo un piede sul continente, si disinteressava in pratica del quadro europeo.
Del primo tipo erano la Francia, il SRI, l'Ungheria, gli stati italiani e la Polonia.
Del secondo l'Inghilterra, che continuava nello sforzo di estendere i propri possedimenti in America. Molti capitani si lanciavano nell'esplorazione navale, non trovando quasi concorrenza. Nel 1679 fu raggiunta la Polinesia, l'anno dopo l'Australia e così via;
l'Olanda, per conto della quale nel 1641 furono fondati gli insediamenti sulle due rive opposte del fiume Connecticut (traslitterazione del nome mohicano) di De Aar e Swellendam e due anni dopo Nieuw Eindhoven, sul fiume Kruis. Successivamente la flotta olandese conquistò Tindore, in Asia, che fu usata come base per le successive conquiste;
la Svezia, che, consolidate le basi in Africa orientale dopo la Guerra dell'Avorio contro Kilwa (1639-1643), iniziò a interessarsi al sud-est asiatico, in competizione con l'Olanda.


La Cina

Negli anni '20 del XVII secolo il Celeste Impero aveva iniziato a disgregarsi.
Nel 1624 Tokugawa Iemitsu cacciò i Cinesi dal Kyushu; il Tibet riprese i suoi territori; alla fine degli anni '30 i Manchu si ribellarono al protettorato cinese e oltre a far perdere ai Ming l'intera Manciuria, ne presero tutti gli avamposti oltre l'Amur. Nel 1644 infine i Manchu invasero la Cina, con la complicità del generale Wu Sangui e la Corea, in concomitanza con l'invasione tibetana dei territori uiguri.
Fuggendo da Pechino, i Ming si ritirarono a sud, nella regione che si estendeva tra Shangai e lo Yunnan. Grazie anche alla difficoltà dei Manchu a mantenere il controllo sul paese conquistato, rimasero al potere nella Cina meridionale fino al 1662, quando l'ultimo imperatore Ming, Yongli, fu sconfitto e costretto a fuggire in Birmania.
Dal collasso dell'impero, altre due nazioni emersero. Una era Taiwan, la cui parte a maggioranza cinese fu governata dalla dinastia del pirata Zheng Zhilong per conto dei Ming, fino a quando non furono cacciati dai Francesi.
L'altro fu il Dai Xi. Zhang Xian Zhong, un generale mandato a fronteggiare l'esercito tibetano, fu sconfitto e riparò nello Sichuan, da cui riuscì in un duro regime a vincere sia Tibetani sia Manchu. Suo figlio però fu ucciso in battaglia e la provincia cadde. Finalmente, l'imperatore Kangxi potette governare su un impero unito.
L'America centrale
Continuando il processo di accentramento, gli imperatori aztechi mantennero ben saldo il proprio dominio sulle popolazioni sottomesse.
Assoldati alcuni reggimenti mercenari scozzesi a metà secolo, l'imperatore Nanacacipactzin riprese le offensive contro le tribù come gli Hopi, i Taos, Diné eccetera, non sfruttando le divisioni fra anche diverse culture e lo stato di guerra endemico, anzi unendole contro l'invasore.
Con l'introduzione della cavalleria da parte scozzese tuttavia le armate azteche riuscirono in parte ad avere vantaggio sulle razzie di cui consisteva la strategia dei difensori, fino a quando, utilizzando dei cavalli fuggiti, gli stessi non impararono a combattere a cavallo. Sulla carta l'invasione azteca fu un successo, ma molto effimero. Dopo cinquant'anni di guerriglia, arrivarono anche lì i Francesi, terminando il dominio azteco.


sabato 10 marzo 2007


Il caos africano, la politica di Faraj e i rapporti con l'Impero Ottomano

Lo schiavismo
La guerra, seppur breve, aveva drenato il tesoro reale, già rimpicciolito dalle precedenti e dalle spese di Muhammad XVI. Inoltre il re sapeva di dover dare una prova di forza ai re e principi che non avevano accettato di sottomettersi. La soluzione venne dall'Inghilterra.
In America, la manodopera indigena aveva iniziato a scarseggiare ben presto, portando gli interessi inglesi nell'acquisizione degli schiavi.
Per tutto il 1500 e parte del 1600, i principali fornitori erano stati il Benin e il Manikongo, tuttavia il primo era stato molto indebolito dalla recente sconfitta e gli era difficile continuare i raid con la stessa intensità.
Con questi problemi, una nave inglese con le carte non troppo in regola, nella primavera del 1635 aveva tentato un colpo di mano pagando una banda di Kpelle perché fornissero loro degli schiavi kru, fallendo. La situazione fece scalpore nella colonia granatina e le relazioni tra i due paesi peggiorarono, ma ciò mostrò a Faraj il grande potenziale che avevano quelle terre malariche e non molto fidate.

La schiavitù senza crimine commesso e quindi non intesa come pena, era illegale nel regno. Tuttavia, questo poteva essere benissimo aggirato non rendendosi responsabili diretti della tratta. A fine 1636 Granada e Inghilterra giunsero all'accordo: i mercanti inglesi si sarebbero insediati in alcune città della costa e avrebbero recepito lì le spedizioni con gli schiavi.
Il regno iberico si sarebbe invece ritirato completamente, tagliando ogni contatto, dai territori dei re che non avevano accettato i termini imposti da Faraj. I popoli di questi territori venivano quindi completamente esclusi dallo stato, senza possibilità di esserne accettati. I re potevano ancora offrire la propria sottomissione per ritornare intoccabili dagli schiavisti, ma avrebbero dovuto rinunciare a ogni potere. La Compagnia di predicazione fu ritirata, pure.
Per evitare problemi di conflitti interni, in una grande opera di svuotamento delle carceri ottomane, migliaia di detenuti per tutto l'impero furono spediti ai confini delle zone abbandonate e addestrati militarmente come alternativa alla pena, per proteggere le popolazioni che invece dovevano occuparsi dei raid o per monitorare le reazioni del Benin. E ciò fu di notevole guadagno anche a tutti i regni che ottennero la licenza di schiavismo, perché il privilegio di possedere schiavi sì era rimasto, ma l'impossibilità di procurarsene tra le altre tribù ora sotto un unico sovrano aveva obbligato ad acquistarli dal Benin e dal Bornu.
Tale situazione durò per tutto il rimanente regno di Faraj, 45 anni. Reazioni vere e proprie non si attuarono, ma i vari capi si unirono nella Confederazione di Tambacounda, dal nome della città Mande (il gruppo etnico più forte, sebbene diviso fra le popolazioni che s'erano sottomesse a Granada e a quelle respinte) in cui fu creata. Questa fragile unione tentò di ottenere l'aiuto del Bornu o del Benin, ma non ebbero risposte.

Nel 1640, inoltre, l'avventuriero Battuta ibn Fuad, a capo di 500 uomini, occupò in nome di Granada l'isola di Bioko, stabilendo una pacifica alleanza coi locali Bubi; quell'isola (grazie alla speciale patente assegnata a Battuta) divenne una meta per gli schiavisti, che lì, pagando solo l'affitto degli stabili, potevano trovare una base per i carichi dal continente oppure addirittura usarla per proprie razzie, per cui il regno di Mandara era il miglior partner d'affari.
Il fratello di Battuta, Hassan, due anni dopo occupò Mayumba, un piccolo villaggio fang, fortificandolo e rendendolo un'altra base per il traffico diretto di schiavi. Ai fratelli si sostituì quindi Yusuf Rurikovic, ultimo esponente della famiglia, che con l'aiuto dei corsari inglesi espanse gli approdi per gli schiavisti in vari punti della costa.
Va ricordato che i capi somali si sottomisero subito e non furono toccati dalla nuova politica.

A chi giovò questo commercio? Sicuramente a Granada: le forti imposte sugli schiavi ma anche le grandi libertà lasciate alle spedizioni per la loro cattura, resero di fatto le spese burocratiche africane indipendenti dal tesoro statale.
Anche le economie di alcuni ex regni africani si risollevarono con i proventi del commercio dopo la flessione dovuta alla moratoria sugli schiavi.
Va ricordato che in seguito, con i nuovi insediamenti americani, anche Francia e Olanda si servirono di questi intermediari per le proprie colonie. Più tardi, anche l'Impero Azteco ne approfittò. La schiavitù nell'impero era assai diversa da quella europea, ma l'huey tlatoani accolse il suggerimento della nobiltà totonac e concesse che nelle terre di quel popolo venisse istituità una schiavitù di stampo europeo, diversa da quella mesoamericana: sulla costa orientale iniziarono quindi a essere impiantate piantagioni di peperoncino, fagioli e ahuacatl (avocado), prodotti che incominciavano a essere piuttosto richiesti dalla borghesia mercantile francese e iberica, facendo così nascere una nuova casta di proprietari terrieri anche nell'impero.

In quest'epoca rifiorì nuovamente la pirateria. Quella nell'Oceano Indiano non era mai stata sconfitta, mentre per qualche decennio sembrò che in America tale pratica fosse stata eliminata dalla flotta inglese. Tuttavia, l'abbandono da parte di molti coloni inglesi di vaste porzioni a nord est dell'America meridionale (buona parte di questi migrò più a sud) per contrasti coi nativi o epidemie, portò all'arrivo di francesi e soprattutto pirati, che usarono le basi abbandonate dagli inglesi per minacciare le lucrose rotte della tratta. Due particolari figure vengono ricordate tra 1650 e 1660: uno fu lo zeelandese Andreas Janszoon, che alleatosi con gli Arawak riuscì ad annichilire a terra il corpo di spedizione britannico mandato a eliminarlo.
L'altro fu Okafor, originario del delta del Niger e che aveva servito come ufficiale di marina del Benin, riorganizzata dagli Svedesi, che aveva scelto di darsi alla macchia dopo aver attaccato un vascello schiavista inglese, su cui aveva scoperto essere imbarcata la sorella, sposa di un importante principe dei Gurunsi (popolo che non si era sottomesso a Granada); fuggì in America coi suoi seguaci e, mai catturato, riuscì a liberare migliaia di schiavi e fondando delle colonie in America per i nuovi arrivati, perché rimanessero o trovassero il modo di tornare alla loro terra. Tuttavia l'esperimento dopo la morte di Okafor non riuscì, a causa dei contrasti fra etnie diverse e l'impegno francese nell'eliminare questi ricettacoli di fuggitivi.

I rapporti con la Sacra Porta
Il regno di Nasr II vide l'affermarsi degli stretti rapporti con l'Impero Ottomano inaugurati dai predecessori e lo sfruttamento dei vantaggi che comportava l'alleanza.
Nell'aprile 1639, onde esaminare le richieste di Balkh e Khorasan di entrare definitivamente a far parte dell'alleanza con i tre giganti, Faraj I, Murad IV, Ibrahim IV (Delhi), Nadir Muhammad (Balkh) e Sayid Ali (Khorasan) s'incontrarono a Isfahan. A questi ultimi si accompagnarono l'Ayatollah Mostafa e l'iman di Isfahan.
Infatti lo scopo del consiglio non era tanto se decidere di accettare o meno i due potentati nell'alleanza, quanto decidere le faccende religiose, ossia il riconoscimento degli Ottomani. Proclamatisi califfi, i membri della casa di Osman avevano il pieno appoggio da parte di Granada, Delhi, Khorasan (la dinastia uzbeka che regnava era sunnita) e pure dall'emiro di Balkh, che non aveva problemi ad accettare un califfo. Tuttavia, Balkh e Khorasan dominavano la Persia e la nobiltà locale aspettava solo una parola contro i dominatori per ribellarsi.
Dopo un mese di deliberazioni, si giunse a un accordo storico: tutti i sunniti avrebbero accettato definitivamente Murad come califfo e le massime autorità sciite deliberano che fosse riconosciuto con un nuovo titolo, "Difensore della Fede", secondo solo al califfo atteso. Dall'epoca dello scisma, per la prima volta un califfo aveva autorità morale anche sulla Shi'a.

La grande guerra persiana e i nuovi rapporti con i Turchi
Nel 1643 la dinastia di Kabul, che aveva dominato l'Afghanistan e il Baluchistan nella loro interezza per vent'anni, fu costretta alla ritirata dalla sollevazione delle tribù pashtun in toto, a causa delle offerte di supporto da Delhi. Amhed Beg riuscì a ritirarsi nel Baluchistan, fedele alla corona, da cui incominciò il tentativo di risottomettere i territori perduti.
Purtroppo due anni dopo il sultano di Delhi gli dichiarò guerra e a Pasni Ahmed oppose l'ultima futile resistenza.
Nel frattempo anche Khorasan aveva messo le mani sulla regione, con l'appoggio ottomano.

Approffitando delle divisioni tribali, onde anche pacificare preventivamente la situazione confusa, lo stato persiano invase lo scomodo vicino.
Dopo i primi successi, Sayyid Abd al-Aziz Khan invase il Khorasan, obbligando Sayid Ali a fare marcia indietro.
L'invasione dell'emirato di Balkh seguì quella del Khorasan. Agli Uzbeki di Abd al-Aziz si unirono molte jüz khazake e varii kirghizi dissidenti che fuggivano dal khanato di Ferghana, tutti in calata verso sud per la Persia, seguendo il carismatico khan.
Per il 1646 l'orda, forte di circa 100.000 uomini arrivò a Mashhad, la capitale del Khorasan, mentre Balkh era riuscita a respingere il primo tentativo d'invasione.
Messi alle strette, i regni persiani implorarono aiuto agli alleati.
Delhi inviò uomini, ma non molti, minacciata di un'invasione dal Bengala.
Chi poteva fornire effettivo aiuto era l'Impero. Tuttavia, al momento il dominio di Ibrahim I stava subendo delle ristrettezze economiche, dovute ad alcune annate cattive. Allora Kösem Sultan, la madre ed effettiva governante dell'Impero (Ibrahim era considerato malato mentale e si teneva lontano dalla politica) chiese dei finanziamenti a Granada, che poteva permettersi di sostenere lo sforzo militare che aspettava l'Impero.
Posta la richiesta al Consiglio dei Nobili e ai ministri, questi l'accettarono e Faraj diede il proprio consenso. Per i successivi cinque anni, l'80% delle tasse commerciali e il 10% delle catastali fu destinato al mantenimento delle armate. Si concluse un accordo con la Crimea e la Russia affinché fornisse il grano necessario; a numerose armerie inglesi fu commissionata
parte dell'artiglieria; il mantenimento dei soldati in Africa passò a Granada.

Praticamente la metà degli uomini fra i 17 e i 35 anni in tutto l'Impero fu mandata a servire contro gli invasori, sotto il comando di Nevesinli Salih Pasha.

L'orda oltre a non essersi diminuita, era addirittura aumentata, con l'apporto dei Turkmeni e di numerosi mercenari mongoli, più molti coscritti persiani, mentre altri si rifugiarono in Mesopotamia come profughi.
Prima che l'esercito ottomano fosse pronto a Baghdad (metà 1647), quello di Abd al-Aziz era giunto in Kurdistan, dopo essere dilagato in Persia e dopo che un contingente più piccolo guidato dal fratello aveva sconfitto Balkh e aver anche attaccato il territorio di Samarcanda.
Salih Pasha marciò con circa 90000 uomini contro un esercito al momento minore di numero. Le due armate s'incontrarono al lago Dukan, dove la superiorità dell'artiglieria ottomana si mostrò, falcidiando i ranghi dei coscritti persiani e i Sipahi respinsero la cavalleria uzbeka che aveva travolto i nemici in tutte le precedenti battaglie. Sayyid, dopo appena due ore di combattimenti ordinò la ritirata, seminando gli avversari sulle alture.
Lo scontro decisivo avvenne a Kermanshah, con eserciti di pari dimensione. La cavalleria kazakha sfondò l'ala sinistra, tenuta dagli egiziani e dai libici e colpì duramente il resto della fanteria leggera, indisciplinata e senza esperienza, mettendo a repentaglio l'esito della battaglia. Tuttavia, la resistenza del contingente albanese permise ai cannoni turchi di concentrare il fuoco sulla fanteria turcomanna, permettendo ai Giannizzeri e alla cavalleria di accorrere a fermare la carica. Il pasha richiamò quindi gli uomini in fuga e li rigettò in mischia.
Ancora una volta lo schieramento ottomano traballò quando le truppe kirghize di Kerim attaccarono l'estrema destra con una tattica simile al caracollo; la cavalleria tutta ancora una volta si spostò per respingere l'attacco, quando fu investita dall'artiglieria dell'alleanza e quindi da una carica generale. L'unica cosa che impedì l'accerchiamento furono i moschetti della riserva persiana, che spaventarono i cavalli dei mercenari mongoli, permettendo un contrattacco delle truppe libanesi proprio nella zona del quartier generale (lo stesso comandante rischiò di essere ucciso).
Dopo un'altra ora di cariche e controcariche locali, Abd al-Aziz s'avvide che non sarebbe riuscito a recuperare il "momentum" e ordinò la ritirata, con buon ordine se si esclude la diserzione dei soldati persiani. Entrambi gli schieramenti lasciavano sul campo più di 9000 soldati e un numero imprecisato di feriti.

L'armata si ritirò in profondità, lasciando tutta la Persia meridionale e parte di quella orientale, scossa dalle rivolte e attraversata dalle truppe indiane.
Fino alla primavera successiva gli eserciti non s'incontrarono, limitandosi a scaramucce di confine. I sovrani di Khorasan e Balkh tornarono dall'India e indirono la leva per la prossima campagna.
Il khan dovette lavorare molto per non perdere troppi uomini e riuscì a tenere i suoi alleati con sé per ancora un'altra stagione, anche se individualmente molti uomini lasciarono l'esercito.
All'armata ottomana, frammentata per occupare il resto della regione, si unirono quindi 12000 uomini di Nadir Muhammad, 7000 di Sayid Ali, 19000 Punjabi mandati da Delhi e 2000 cavalieri berberi. In primavera fu di nuovo cercato lo scontro. Contro il parere dei suoi comandanti, il khan decise di fortificarsi sul Kuh-e Bastam, una montagna a nord di Semnan e lì attese i nemici vicini.
All'avvicinarsi dell'esercito, i soldati del khan abbandonarono la città, rifugiandosi nei trinceramenti e colpendo i nemici in una serie di attacchi mordi e fuggi con la cavalleria, l'ultima possibilità di usarla e che si rivelarono efficaci, colpendo quasi indisturbati.
La battaglia del Kuh-e Basam iniziò all'alba 3 maggio 1648 con il bombardamento delle postazioni fortificate, dopo aver faticosamente portato i cannoni sul monte. Fu l'unica battaglia in cui gli alleati del Trattato di Isfahan combatterono uniti.
Senza alcuna raffinatezza tattica, la battaglia consistette dall'alba al tramonto di varii assalti senza quartiere dal costo elevato per entrambe le parti, mentre il Abd al-Aziz aspettava il momento adatto per caricare con la sua riserva di cavalleria. Nella battaglia fu ucciso anche Sayid Ali, signore del Khorasan e ultimo della sua dinastia, non avendo eredi.
A fine giornata gli attaccanti erano quasi arrivati alla vittoria, ma il buio li fece fermare. Il khan non voleva parlamentare, ma si vide disertato dai suoi alleati e dai suoi stessi uomini, che offrirono la resa e il salvacondotto per il ritorno in patria (che fu accettato). Abbandonato, si uccise.
La battaglia aveva portato alla morte di forse 19000 soldati sotto il comando di Salih Pasha e si pensa addirittura 30000 soldati dall'altro campo. L'armata che due anni e mezzo prima aveva tentato la conquista della Persia ritornò in piccoli gruppi, lasciando dietro di sé un fiume di sangue.

Politicamente, l'Impero Ottomano ne guadagnò: a capo del Khorasan fu posto un consiglio di nobili persiani e in parte uzbeki e divenne de facto un satellite ottomano. Parte dell'esercito inoltre continuò la guerra in Afghanistan, contrastando la guerriglia alleandosi con alcune tribu e installando a Kabul un governo subordinato al Khorasan.
Tale guerra inoltre inaugurò un nuovo tratto della politica tra Granada e Istanbul: Granada avrebbe fornito i soldi grazie alla grande ricchezza della nazione e l'Impero gli uomini, divenendo simbionti. E in questa maniera si presentarono per lungo tempo i sovrani di entrambi gli stati alle altre potenze mondiali, come il braccio destro e il braccio sinistro dell'Islam.

sabato 27 gennaio 2007

Faraj I, l'inizio del regno.

Poco dopo la sconfitta del Benin, giunse l'aiuto dagli Ottomani: tre armate da tremila uomini ciascuna, di cui metà erano ex detenuti a cui era stato offerto l'arruolamento in una grande operazione di svuotamento delle carceri e l'altra metà Turco-mongoli catturati nella guerra contro Bashkiria, che sarebbero rimasti un lustro per pacificare la regione, secondo il patto di mutua assistenza. Il sultano sapeva già come usufruire del credito ottenuto, ma Murad IV aspettò fino al 1634.
Tornato a casa, Faraj abbisognava di un modo per consolidare il regno. Il venticinquenne innanzitutto ritornò alla monogamia, onde pararsi da lotte fratricide. In parte per lo stesso scopo, riformò la struttura amministrativa, togliendo la dipendenza di ogni nobile al re, ma raggruppando i minori sotto altri, formando un "feudalesimo statale", che erano responsabili per i propri sottoposti e che dovevano rendere conto al monarca.

Sotto consiglio del primo ministro Belan, Faraj stabilì che i tutti i nobili suoi diretti sottoposti gli giurassero fedeltà; ai principi indiani e somali chiese invece che la fedeltà venisse giurata a sé e alla propria discendenza, mentre obbligò la nobiltà africana occidentale a sottomettersi allo stile di vassallaggio più stretto. Ovviamente, poiché tutti dovevano presentarsi personalmente, più di un anno fu impiegato nell'arrivo di tutte le delegazioni (e comunque il re obbligò quelle africane a essere le ultime).
La grande delegazione, fusasi per comodità, arrivò quindi dopo che tutti gli altri nobili avevano giurato; per coerenza verso il loro precedente partito, i re che avevano sostenuto Otham e alcuni altri, come il capo dei Dogon, dichiararono sì la propria fedeltà a Faraj e discendenti, ma rifiutarono di rimettere alcuni loro poteri al re; altri, come Ashanti e i principi songhai, si adeguarono. Faraj in quell'occasione non diede a vedere di essere contrariato da questa opposizione, poiché altri affari, esteri, lo stavano impegnando e quindi accettò questo surrogato.

La guerra per la successione napoletana
Nel 1633, il duca di Linguadoca Baptiste, che era stato esentato dal giuramento, sposò Maria Agnese di Borbone, imparentandosi con i reali francesi. Pochi mesi dopo, Alfredo d'Angiò morì, ucciso dai pirati greci sul sulla sua nave di ritorno dal Peloponneso. Per somma sfortuna, anche il suo unico figlio fu ucciso nello stesso periodo in Calabria da un ragno spaventato non identificato.
A Napoli quindi rimaneva la moglie del principe, Caterina di Borbone, nipote del re César. Questi decise quindi di restringere i legami col regno italiano, facendola sposare con Thomas del ramo nativo d'Anjou, che era strettamente imparentato con entrambe le famiglie per matrimoni precedenti.
A questa notiza la nobiltà europea rimase indifferente, ma non l'italiana. Modena protestò, così come parte dei nobili romani; la prima fu tacitata dalle minacce di Venezia, che sperava in un rafforzamento francese nell'area, non fosse solo per avere una garanzia verso gli Ottomani, i secondi dal regno partenopeo, da sempre controllori dello Stato Pontificio.
In risposta, il sultano spinse Michele d'Angiò-Nafplion a farsi avanti per il trono col suo supporto, desideroso di garantirsi l'influenza sul vicino.
Nel novembre del 1633 quindi oltrepassò l'istmo di Corinto con una piccola armata e incontrandosi con le truppe raccolte da Michele. In breve tempo buona parte del Peloponneso, ma non riuscì a prendere Kyparissia e Navarino (Pilo), uniche sedi di guarnigioni napoletane degne del nome e facilmente rifornibili dal mare in caso di lungo assedio. Murad dunque mise il conte Dimitrios Gonatas a comandare le due armate che dovevano tenere bloccati i Napoletani nelle due fortezze e mandò l'invito a Faraj a rispettare l'alleanza in quanto regno più vicino.
Forzato ad accettare, Faraj dichiarò guerra a Napoli e subito dopo a Venezia, che nel frattempo s'era unita a Thomas, da poco incoronato. Stranamente, César non intervenne indirettamente a fianco dei parenti, ma poco dopo la notizia dell'invasione della Morea, alcuni forzieri lasciarono Parigi per Napoli.
La flotta turca tentò di bloccare a Otranto la napoletana, ma l'intervento tempestivo delle galee veneziane riuscì a ricacciare la flotta nemica e mantenere il ponte navale nello Ionio. Tuttavia, la squadra navale granatina mise in fuga quella napoletana a Capo Scaramia, permettendo il transito via mare di altre due armate turche. Lo sbarco a Cefalonia, guidato da Murad in persona, fallì a causa delle proibitive condizioni atmosferiche, ma il contingente di Mesu Bey riuscì a prendere possesso di Malta.
Nel contempo, senza intenzioni ostili della Francia, Faraj potè mandare parte delle truppe confinarie francesi in Liguria, per porsi al comando del podestà di Genova, in attesa di un attacco veneziano. Tra febbraio e marzo le operazioni militari in teatro parte furono sospese. In aprile, il capitano Dolgia dovette difendere di nuovo Zante dall'esercito turco. Murad con un pesante bombardamento ebbe ragione della guarnigione, che fece sterminare e da cui prese diversi cannoni navali che gli servirono nella conquista di Itaca prima e di Cefalonia, in breve successione. A maggio il podestà Doria ricevette l'ordine da Faraj di scendere l'Appennino e lanciare un'offensiva in Lombardia, dove gli agenti granatini avrebbero tentato di trovare l'appoggio della popolazione musulmana. Il re inoltre chiese a Murad di proclamare la jihad, che avrebbe reso più facili le cose, ma l'alleato non aveva intenzione di farlo, temendo un intervento non richiesto da parte di altri stati.
Doria, con 6500 soldati italiani e 3000 francesi, si addentrò nel Monferrato (territorio già piemontese), ottenendo l'alleanza di Rolando da Maggia, mercenario ticinese, figlio di Aldighiero, comandante in Italia nel 1566; dopo aver aiutato la Francia in Provenza, aveva da una decina d'anni eliminato l'ultimo esponente dei Navarra-Savoia, riappacificato il Piemonte e ottenuto un dominio tra Chamonix, Aosta, Tortona e Acqui Terme.
Con da Maggia Doria strinse un'alleanza, nonostante l'entrata di sorpresa nel suo territorio; tuttavia Rolando non era ancora in grado di dare soldati, ma solo rifornimenti. Un mese più tardi i 9500 uomini del podestà incontrarono l'armata veneziana, di poco minore a Voghera. Nonostante la cautela del Genovese, la cavalleria venezia riuscì a prendere di sorpresa la retroguardia nemica mentre le truppe si stavano ancora disponendo per la battaglia prevista il giorno successivo, creando il caos e permettendo un efficace bombardamento d'artiglieria sui quadrati. Con l'aiuto dell'ora tarda, l'esercito invasore riuscì a ritirarsi con ordine, lasciando però sul campo 800 morti in sole due ore di combattimento. Sacrificando la cavalleria toscana (1000 uomini), l'esercito riuscì a guadagnare tempo e tornare alla frontiera ligure. Prima che si potessero portare aiuti a da Maggia, Venezia aveva già posto fine al suo breve governo, incorporando il solo Piemonte nel Governatorato d'Entroterra Italiano e vendendo la zona savoiarda alla Francia.
Nel frattempo una flotta congiunta aveva battuto quella veneziana a Lagosta, permettendo così l'inizio dell'assedio di Curzola, sempre con Murad al comando.
Ma, mentre la flotta musulmana si portava a nord per la battaglia, Thomas vide l'occasione per poter trasbordare i suoi uomini con tranquillità, facendo quindi imbarcare i suoi 10000 uomini in attesa a Otranto, che sbarcarono a Navarino, liberando la città facilmente dall'assedio e in seguito l'intera penisola, aspettando la reazione ottomana (Michele morì in battaglia guidando un manipolo arrivato da Cefalonia). Murad, vista la situazione, decise di levare l'assedio e riorganizzarsi in Albania, richiedendo le forze di Arslan Pasha.
Incoraggiato dai successi italiani, il re francese tentò un colpo di mano: mentre buona parte dei confinari francesi erano in attesa in Liguria, la flotta mediterranea sbarcò in Linguadoca il Corpo Bretone, obbligando Baptiste di Linguadoca a ribellarsi contro Granada, mentre un'altra armata invadeva l'Aquitania. Preso di sorpresa, Faraj, pagando una cospicua somma, ottenne la pace con Venezia e potè mandare l'armata, ora di 8000 uomini, in Linguadoca, intanto che con la Guardia si portava a nord.
Raimondo Doria si riscattò quindi nel combattere l'armata bretone-linguadoca, sconfiggendola e catturando il duca, imprigionato per tradimento. Il 14 settembre, quando in Croazia avveniva la battaglia senza esito di S. Maria Celeste, incontro dell'esercito turco e dogale, che fermò entrambi, Doria e la cavalleria della Guardia respingevano le avanguardie francesi a Pau. Con questa sconfitta, il maresciallo Molne chiese la tregua, che fu poi ratificata da entrambi i sovrani, con un nulla di fatto.
Anche Murad, vedendo che sarebbe stata un'impresa improba ritentare l'invasione del Peloponneso dopo il rafforzamento delle postazioni napoletane in Grecia e Italia, chiese anch'egli la pace.
Con la pace di Lienz del 1635 l'assetto politico europeo rimaneva più o meno invariato, eccetto per Malta e le Isole Ioniche, che andavano nella loro totalità all'Impero Ottomano, mentre il Peloponneso rimaneva in mani napoletane. Venezia ci guadagnò circa mezza tonnellata di oro, una di argento e 10 galeoni oltre alle navi catturate, il tributo pagato frettolosamente da Faraj per la tregua. La Francia riuscì quindi a legare a sé il regno di Napoli e Sicilia, ma non la Linguadoca: Baptiste fu graziato, ma dovette ripudiare la moglie francese per un'aragonese e rinunciare ai suoi privilegi, giurando fedeltà.