mercoledì 27 giugno 2007

La riforma militare di Ismail IV

La guerra, seppure vinta, aveva dimostrato la vecchiaia dell'esercito, che era poco cambiato da Muhammad XII e che si era trovato in difficoltà di fronte alla macchina da guerra rajput. Nel corso degli anni si era modernizzato ma, poiché gli armamenti per i reggimenti rurali erano ancora lasciati in parte ai nobili e in parte agli stessi soldati, alcuni reparti in teoria avrebbero dovuto combattere come 400 anni fa. Inoltre, la composizione eterogenea delle armate in Gujarat e in Sindh aveva fatto lamentare i comandanti di avere problemi a capire bene la composizione dei reggimenti e anche a distinguerli nel campo di battaglia. Era giunto il momento di riformare l'esercito e quindi Ismail, nel 1708, diede questo compito a uno staff di esperti militari tra generali, ingenieri militari e altri esperti. Questi, tra il 1710 e il 1720, svilupparono una serie d'innovazioni approvate e quindi applicate a tutto l'esercito. Quest'ordinamento durò per circa un secolo con poche modifiche e anche dopo la maggior parte consistette in armi.
Nel complesso questi furono i cambiamenti apportati all'esercito:

innanzitutto il sistema di arruolamento (per l'esercito, la marina rimase immutata) fu cambiato. L'età di chiamata era invariata, ma ora c'era differenza per i periodi di leva, che si basavano sugli archivi statali. In pratica, contadini, pastori, operai e simili a 16 anni dovevano sottoporsi a quattro mesi d'addestramento, più una settimana di "manovre" all'anno; gli artigiani 5 mesi e due settimane e così via. Al termine del primo periodo di addestramento, si poteva far richiesta di essere arruolati nell'armata professionale, in cui si maturava il diritto al congedo dopo vent'anni di servizio; l'addestramento era nettamente migliore, così come la paga percepita, ma era soggetta al numero chiuso stabilito dal Ministero della Guerra e i disoccupati e nullatenenti avevano la precedenza assoluta sui posti.
In qualità di leve si poteva essere destinati alla fanteria, all'artiglieria o al limite alla cavalleria miliziana, previo pagamento della tassa per il cavallo; da volontari era possibile o quasi entrare in qualsiasi reparto disponibile al momento. In questo modo, con un corpo di militari perennemente mobilitati e una grande quantità di leve richiamabili, Granada potè cancellare la dipendenza dai mercenari.

l'organizzazione dei soldati venne razionalizzata e per la prima volta comparvero suddivisioni a bassissimo livello, per ogni evenienza.
La base era la squadra, formata da 10 uomini (o un cannone) e comandata da un caporale o da un sergente; sopra v'era il plotone, da 50 uomini (o cinque cannoni), comandato da un tenente; due plotoni formavano un battaglione o una batteria, sotto un capitano e sei plotoni di cavalleria una compagnia. Ogni battaglione disponeva di un tamburino e due flautisti (l'organico delle bande militari fu diminuito). Dieci battaglioni erano un reggimento, guidato da un colonnello, che nella cavalleria comandava un reggimento di 7 compagnie.
Dieci reggimenti formavano la divisione, unità strategica; l'artiglieria e alcuni reparti venivano però raggruppati in brigate da due reggimenti (3000 uomini). Entrambi erano capitanati da un maggiore. In totale, le divisioni contavano circa 10000 uomini, 12000 se erano affiancati da qualche brigata.
Oltre la divisione per molti anni non fu organizzato nessun corpo, preferendo accorparle a seconda delle necessità.

anche l'equipaggiamento fu radicalmente modernizzato. Per prima cosa, le uniformi, cosa che stava prendendo piede in Europa. I generali del re optarono per una scelta ancora più forte. Tutti i soldati avrebbero vestito cuffia rossa, una camicia di lino beige lunga fino a mezza coscia, sul modello di quelle civili, ma più attillata, pantaloni bianchi alla caviglia e scarpe di cuoio (stoffa rinforzata per gli induisti) o gli stivali da cavalleria. I reggimenti europei ricevevano anche un cappotto, quelli in Nordafrica tennero i mantelli berberi. I cavalieri usavano dei rinforzi alla parte interna dei pantaloni e i genieri dei grembiuli.
Per il servizio nei paesi caldi invece si usavano versioni a mezze maniche e mezza gamba dell'uniforme. Nel 1715 fu inoltre introdotto il "pantalone dimezzabile", con la parte sino al ginocchio normale, poi l'inferiore, cerata, che poteva essere tirata su e abbottonata alla cintura, oppure abbassata e pure stretta alla caviglia, per periodi di pioggia, guadi e così via. Gli unici soldati a mantenere il costume nazionale furono gli irregolari tuareg.
Le differenze tra reparti vennero segnalate con colori diversi dei polsini e del colletto, mentre l'appartenenza dalla targhetta cucite sul braccio destro.
Due reparti fecevano eccezione: la Guardia vestì completamente di rosso granata coi soli polsini a distinzione e "Le Ombre" ebbero una divisa completamente blu.
L'armamento anche fu standardizzato: a ogni soldato di fanteria e artiglieria venne assegnato un moschetto a pietra focaia Mod.1120, con baionetta a inserto femmina -digressione: la baionetta, nata nella città basca di Bayonne, fu adottata sin da metà 1600 dai nobili baschi, vedendo l'utilizzo di fucili con innestati i coltelli da parte dei briganti. Qualche anno dopo nacquero le baionette che permettevano di sparare- e in seguito il Mod.1208, più leggero e con le cartucce al posto della polvere separata. La cavalleria aveva in dotazione la sciabola da ufficiali e la carabina mod.1121, versione accorciata del fucile e più potente delle pistole allora utilizzate. Anche reggimenti di fanteria che avevano ottenuto di portare armi da mischia tipiche (in India e Africa), preferirono quella al moschetto d'ordinanza.
A completare l'equipaggiamento c'erano la tasca delle cartucce, una piccola pala e uno zaino floscio, che doveva contenere: bende, effetti personali, sacco a pelo e le note "gallette Jués", gallette d'emergenza impastate con carne di pesce o pollo o formaggio, che potevano durare mesi se ben imballate.

Ed ecco infine quali erano le suddivisioni:

fanteria:
-di linea: composta dai riservisti o dai volontari. Come in ogni altro esercito era la spina dorsale. La passamaneria era bianca;
-leggera: ogni cinque reggimenti, uno era di schermagliatori, che combattevano in ordine sparso e dovevano infastidire il nemico e mirare agli ufficiali. La passamaneria era bianca con una banda azzurra;
-corpi d'assalto: organizzati in brigate, erano 20 soldati a battaglione: volontari, erano scelti per la prestanza fisica. Armati di moschetto e granate, avevano il compito di guidare ogni assalto. Ricevevano paga doppia e la passamaneria era verde;
-genieri: raggruppati in brigate, avevano il compito di costruire e distruggere. Questa riforma introdusse per la prima volta il loro compito come una specializzazione nell'esercito granatino. Non combattevano quasi mai, ma a volte dovevano unirsi alle linee di fuoco. Passamaneria blu;
-fanti d'artiglieria: fanti prossimi al congedo o da reggimenti inaffidabili che venivano distaccati a protezione dell'artiglieria. Non avevano distinzioni.

cavalleria:
-corazzieri: in pratica arruolati solo in Europa, avevano la carabina, la sciabola d'ordinanza e una corazza con maniche di maglia ed elmo. Passamaneria nera;
-cavalleria leggera: termine ampio, che includeva molte qualità di cavalleria e anche le truppe cammellate. Bisogna notare che nessun corpo a cavallo utilizzò più le lance. La passamaneria era marrone;
-cavalleria della milizia: in pratica erano i dragoni, ma non erano addestrati al combattimento meglio della solita fanteria. Svolgevano compiti di protezione dei fianchi o riserva mobile. A partire dal 1726, alcune divisioni divennero professioniste e fu loro aggregata l'artiglieria a cavallo, completamente equotrainata. La passamaneria era a scacchi neri e bianchi;

artiglieria (passamaneria gialla): quella appiedata disponeva di colubrine e cannoni da 16 se era da campo, obici e mortai per quella d'assedio o fortezza. L'artiglieria a cavallo aveva le colubrine;

corpi speciali:
-Guardia: scelti tra i migliori soldati del regno, avevano una divisa completamente rossa con le passamanerie che competevano il loro reparto: fanteria di linea, corazzieri e artiglieria da campo. L'addestramento era intenso e venivano usati solo in casi particolari. Oltre alla Guardia di Granada, c'erano la Guardia Askia, ereditata dai re songhai e che serviva in Africa e la Guardia Tigre, composta da Tamil e Maratha. Il totale era di 60.000 uomini in totale.
-Ombre: questo atipico reggimento fu creato dal colonnelo al-Murati della Guardia. Propose al re di ricercare i migliori uomini delle tre Guardie e formare un reggimento che avrebbe condotto la guerra in modo atipico ed ebbe il permesso di selezionarli. Gli uomini in completo blu utilizzavano le armi da corpo a corpo, le pistole, i fucili e gli esplosivi. Furono utilizzati per attacchi segreti, sabotaggi, imboscate ai generali, operazioni di sbarco notturne e in altre occasioni in cui si richiedeva una preparazione fuori dal comune. Solo il re poteva permette ai generali di disporre dei loro battaglioni.

Ismail IV, toppe a un indumento logoro

La guerra di Giava II
Nel 1701, quando ancora non si presagiva nulla in India, a sud est avvenne il primo evento veramente importante della Guerra di Giava: nella notte del 3 giugno 23 navi da guerra granatine incrociarono 16 galeoni olandesi a est di Madura e nella battaglia che ne conseguì cinque navi della VOC furono catturate, a fronte di una affondata dall'altra parte. Questa vittoria permise a Sazaz di attuare un colpo di mano.
Una settimana dopo le sue navi forzarono il porto di Surabaya, la capitale estiva di Mataram, con i colori olandesi. Evitate le batterie costiere, Saraz inizio l'attacco, sbarcando e prendendo di sorpresa il sultano nel suo palazzo, bombardato. Con questa audace azione, fu catturato e lo stesso giorno, senza essere riuscito a opporre una resistenza efficace, dovette acconsentire a lasciare a Granada tutta la porzione occidentale del suo dominio tranne Batavia, compresa la stessa regione di Mataram e fu obbligato a insediarsi a Surabaya. Questa umiliazione portò a gravissimi dissidi negli anni a seguire frai due regni. Ad ogni modo, fino al 1720 circa de facto il Mataram continuò a governare su quelle terre, non arrivando nessun esercito da Granada a stabilire quel passaggio di poteri.


La controffensiva in Sindh
Le cose in Sindh, dopo la sconfitta, si assestarono per un attimo: il generale e il raja si accordarono per una tregua di un anno, uno perché non aveva forze per attaccare, l'altro perché erano sorti problemi in Sindh con i vecchi nobili e nel Marwar con il fratello del raja.
A Granada il nuovo re, Ismail IV era furioso per tale batosta e per la morte del padre. Alla notizia pensò di far destituire con disonore il vecchio Marathi, ma lo convinsero che umiliare una persona così importante presso il suo popolo, che si era sempre schierato dalla parte del regno, sarebbe stato folle. Accettò dunque la proposta di dargli ancora tempo e più soldati.
Per questo dovette ricorrere ai soldati iberici: era poco consigliabile drenare altri giovani dall'India.
Furono così istituiti i Corpi Riscattati, ossia un'insieme di ex-detenuti a cui era stata data la possibilità di arruolarsi e di ottenere una dimora nelle nuove terre conquistate. Tra penisola iberica e Francia furono raccolti 4200 carcerati desiderosi di entrare nell'esercito.
Questi 4200 avrebbero ricevuto un addestramento assai migliore delle solite leve granatine, poi sarebbero stati mandati fino al Sinai, dove navi turche e indiane li avrebbero portati in India giusto in tempo per la fine del monsone. All'ultimo momento furono informati che era stato conferito ai loro superiori il diritto di vita e di morte.
Al loro arrivo, entrambi i contendenti si erano ripresi e rafforzati. Ajmer e Udaipur non erano ancora riusciti (o meglio, non avevano trovato la voglia) di mandare il loro contributo, ma i due re erano abbastanza sicuri delle loro forze. Inoltre, potevano anche contare su diverse tribù baluci del Sindh, che ci avevano guadagnato dal regime rajput.
Anche Shivaji era in una posizione migliore, avendo ottenuto l'appoggio di alcuni signori del Sindh e poi il nuovo reparto.

Nel 1706 ripresero le ostilità, quando dei cavalieri baluci s'introdussero nel territorio occupato e bloccarono due chiatte sull'Indo destinate all'armata di Granada, ma i re non marciarono fino ai primi di maggio.
Iniziare una marcia nel periodo più caldo era considerata una pazzia, con temperature che sfioravano i 40 °C, ma i due raja si mossero di notte e, seppur lentamente, si avvicinarono a Shivaji.
Marciavano in due colonne, a ovest, costeggiando l'Indo, i guerrieri del Marwar, per un totale di 35000 persone, a est il nuovo raja del Sindh, Raja Thakur, che era succeduto al padre pochi mesi prima e che nutriva una forte competitività con l'alleato. I suoi 17000 uomini marciavano
Venuto a sapere questo tallone d'Achille, il generale marathi pensò di poter divere gli eserciti. Mandò i Corpi Riscattati nel forte di Allahyar Jo Tando, di argilla e fango, ma ben rifornito e fece spargere la voce tra le truppe di Thakur che il contingente in quel forte era molto più grande della realtà, una riserva che avrebbe dovuto attaccarlo una volta che si sarebbe riunito con l'alleato per l'attacco, così, senza avvertire Pabuji, si diresse verso il forte. Il condottiero avversario, appena fu sicuro che la trappola aveva funzionato, andò incontro ai 35000 che lo aspettavano con un esercito di circa la metà, muovendosi di notte.

Pronti allo scontro ed entrambi desiderosi di finire quello che avevano iniziato, all'alba del 7 maggio 1706 i generali arrivarono uno nel villaggio Matiari, l'altro a sud e si accamparono per lo scontro, che sarebbe iniziato al tramonto. Pabuji aveva capito solo da pochi giorni che Thakur si era allontanato, dato che anche i contatti avvenivano solo di notte, e che non avrebbe potuto partecipare alla battaglia, ma non si preoccupava: la sproporzione numerica e soldati più abituati al movimento notturno gli avrebbero dato la vittoria.
Le cose non andarono così. A mezzogiorno, quando buona parte dei Rajput era dispersa negli accampamenti a mangiare e lo stato maggiore si trovava nel villaggio -abbandonato al loro arrivo-, Shivaji fece mettere in posizione l'artiglieria a lungo raggio del Gujarat e bombardò l'abitato.
La sorpresa per tutti i bombardati, pigramente intenti a sopportare la canicola, fu enorme. Il generale di Granada nei giorni precedenti aveva chiesto un sacrificio ai suoi ed era quello. Prima ancora che le i reparti più lontani dal bombardamento capissero cosa stava succedendo, 1320 fanti marathi, senza alcuna protezione, entrarono in Matiari e con estrema ferocia eliminarono ogni resistenza fra le case e prendendo anche Shekha, ferito dai cannoni.
Nel frattempo anche gli soldati di Shivaji avevano attaccato nel caldo; la cavalleria disperdeva facilmente chi tentava di opporre una difesa nonostante la fatica dei cavalli e la fanteria aveva ragione degli agglomerati di tende. Era stata utilizzata la stessa tattica che aveva permesso il successo nella guerra del Gujarat, ma in questo caso non si trattò di una vittoria schiacciante. Il luogotenente del re raccolse i più di 20000 soldati che non erano stati fatti prigionieri o uccisi e li ricondusse a nord in buon ordine.

La fine della guerra
Due giorni dopo Thakur ricevette il messaggio dallo stesso alleato che gli diceva di deporre le armi e accettare la pace, quando oramai solo 500 difensori rimanevano nel forte. Rifiutò, ma levò l'assedio e si ritirò in cerca dei superstiti.
Tutte le mosse furono poi rimandate alla bella stagione.
Nel Gujarat, la popolazione di Bhuj massacrò la piccola guarnigione turca dopo una rissa in cui diversi abitanti erano stati uccisi, facendo scoppiare diversi disordini nella zona. Così le truppe del Gujarat furono mandate per convincere la gente a calmarsi ed evitare altri spargimenti di sangue e così fu.
Nel 1707, allora, ci si preparava a nuova battaglia. Shivaji ricevette altri 5000 uomini dalla Francia, dall'Italia e dalla Catalogna e fece un proclama accettato dal governatore Eduazdo Braba: i nobili del Sindh che avessero lasciato i Rajput e si fossero sottomessi a Granada, avrebbero avuto i loro privilegi, in maniera simile a quella del Gujarat, ma in compenso non avrebbero avuto limiti all'estensione dei loro territori.
Quando i comandanti dell'armata del Sindh presero contatto e si assicurano della veridicità dell'affermazione, abbandonarono Thakur e si proclamarono servitori di Ismail IV.
Lasciato solo ma intoccato, il raja fuggì assieme ai suoi uomini presso l'alleato, il cui comandante però in quel momento voleva raggiungere la patria. Quest'idea non era neanche presa in considerazione da Thakur, che voleva il suo trono e dai subordinati del secondo di Shekha, per cui ritirarsi senza combattere sarebbe stato disonorevole. Nonostante ciò, quando pure dei Sindhi dal cosiddetto "piccolo Sindh", attorno a Karachi, si armarono e partirono come volontari per Granada, si concluse che era preferibile ritirarsi, almeno per quella stagione. Ma furono battuti in velocità: quando le spie avvertirono che si sarebbero diretti verso il Marwar passando per Umerkot, le forze congiunte li batterono in velocità con marce forzate e giunsero nella città prima dei nemici. Il re prigioniero, tra l'altro, era stato preso con loro.
Il 4 febbraio 1707, le avanguardie di Marwar non credevano ai loro occhi: davanti a loro gli avversari, nonostante la velocità che avevano tenuto. Il forte di Umerkot, che avrebbe dovuto essere quasi sgombro, era il perno di 20000 nemici.
Dopo le prime schermaglie, anche i fieri Rajput si rassegnarono: morire per aver difeso quella terra ostile non valeva la pena. Alla vista dei suoi uomini che parlamentavano, Shakha capì che doveva assecondarli e così accettò la richiesta di Bhonsle: il Sindh dei raja sarebbe diventato dominio granatino secondo i termini stabiliti in precedenza; Shakha invece sarebbe rimasto re di Marwar sotto l'amministrazione nuova, rango pari a quello del governatore indiano. L'esercito che doveva tornare a casa fu lasciato andare, così come i prigionieri.
Gli altri due regni, senza aver fatto nulla, chiesero la pace, che fu concessa. La guerra era finita, con una grande vittoria di Granada. Shivaji, rimanendo con l'armata tra Sindh e Marwar per stabilizzare la situazione, invitò Ismail IV a recarsi lì, per poter celebrare in loco e visitare i nuovi territori; il re accettò subito.
Ma l'età del vecchio Shivaji Bhonsle era avanzatissima; mentalmente era come se avesse trent'anni, il corpo aveva risentito di quei mesi in campagna. Lo stesso giorno dell'arrivo del re nel Gujarat, il generale e capo Marathi morì dopo qualche giorno di agonia. Il sovrano presenziò al funerale, rendendogli omaggio come un proprio pari.

Muhammad XVII, le guerre oltremare, le esplorazioni II

Il sovrano in patria
La storiografia immediatamente successiva al re non gli riserva un grande spazio, nonostante un regno piuttosto lungo e due guerre lasciate in eredità. Chiamato "il re segretario" perché, a parte qualche importante scelta in politica estera, il suo fu un governo che oggi definiremmo squisitamente tecnico. Come dice Kargiylov:

Muhammad XVII, monarca di transizione tra il padre Faraj I e il figlio Ismail IV, non aveva la spregiudicatezza del primo né il carisma del secondo. S'imbarcò in due guerre che avrebbero portato a un nuovo assetto in Asia ma non riuscì a finirne nessuna. Rispetto al genitore, nella gestione dello stato o nei rapporti internazionali non cambiò nulla. Eppure fu un buon monarca: si può dire che faceva sempre la scelta giusta al momento giusto, né più né meno. Dirimette ogni controversia, contenne senza alcun problema le popolazioni vessate dalla tratta degli schiavi. Fu il primo a servirsi con successo del Consiglio. Era la persona giusta per il suo tempo, che preparava nuovi, grandi avvenimenti. Tuttavia, per la sua intera vita dovette subire le maldicenze, a causa del suo carattere pacato e della presunta ignavia.

Al proposito del Consiglio, Muhammad fece costruire il primo palazzo dedicato unicamente alle sue sedute, essendo il palazzo reale stretto per i suoi gusti. La nuova sede non fu costruita a Granada, ma a Siviglia, per marcare la distinzione fra il potere regale e quello dei nobili. Inoltre, unico altra costruzione degna di nota, nel 1698 fu completato il "Piccolo Generalife", il palazzo d'estate non più a Granada, ma Jaen.

Yusuf an-Nadir e Pietro della Fracchia
Fu tra il 1685 e il 1697 che questi due navigatori allargarono il mondo conosciuto. Brevemente:

Yusuf era originario di Socotra. A 15 anni s'imbarcò sulla nave del padre, mercante abbastanza ricco; sei anni dopo, ereditando la sua attività, chiese finanziamenti agli Iacossa, gli storici banchieri di Granada, perché voleva tracciare una mappa precisa delle isole del sud-est asiatico e battere gli Inglesi, che avevano basi in Australia meridionale, nello sfruttamento delle risorse. Ci riuscì, dando il primo prospetto totale della regione, ma la sua impresa non fruttò sufficientemente e fallì.

Pietro della Fracchia era invece un personaggio diverso. Genovese, ma di origini probabilmente garfagnane, era figlio di un umile sarto. Notando il particolare talento del ragazzo, il padre con molti sacrifici lo fece studiare alla facoltà di medicina, ma Pietro preferiva di gran lunga studiare le lingue. Ottenne l'appoggio di Agostino Spinola, che lo assunse come interprete per i suoi commerci. Arrivò all'attenzione del re nel 1690, quando fu licenziato da Spinola e venne assunto dal conte di Évora, che divenne poco dopo Ministro degli Interni. Muhammad, notando la sua abilità per le lingue (all'epoca sapeva il genovese, l'italiano, il latino, il catalano, il portoghese e l'arabo) gli propose di guidare una spedizione a cui aveva pensato da tempo: avrebbe dovuto viaggiare per l'America centrale e settentrionale, per offrire un resoconto esatto della maggior porzione di continente possibile.
Partendo dall'Impero Azteco a capo di cinquecento uomini tra scorta e studiosi e con molte peripezie, per i successivi sei anni viaggiò in lungo e in largo l'America, incontrando molte tribù e dando così molte nuove informazioni al mondo sull'interno del continente.
Al ritorno scrisse "De la gente nuova", trattato geografico su quanto appreso. Divenne in seguito l'ambasciatore di Granada a Mexico e vi morì.

La prima guerra dei Rajput
Sin dalla conquista nel tardo XV secolo, i reami Rajput, grazie alla loro ostinata resistenza a Delhi, avevano goduto in seno al sultanato di numerose autonomie. Ciò però non aveva spento il loro indipendentismo.
Attorno al 1500 molti piccoli signori guerrieri s'erano spostati nel Sindh, al seguito della conquista di Delhi e lì avevano soppiantato buona parte della casta dominante sociale, facendo quindi entrare a buon titolo il Sindh tra i regni Rajput.
Tra 1699 e 1703 Delhi si trovò in una grande crisi: il Madya Pradesh, colpito da una serie di carestie e dalla peste, era in subbuglio a causa dei pesanti tributi da pagare; in più il Mysore, dopo aver definitivamente eliminato l'ultima resistenza da parte del Vijayanagara, si preparava a invadere le regioni a maggioranza indù di Delhi, che non avrebbe potuto contare su molto appoggio da parte degli alleati.
Approfittando di ciò, diversi Raja fecero l'azzardo. Nel 1702 i regni di Sindh, Marwar (regno ora incentrato su Jodhpur e quindi più piccolo del predecessore), Ajmer e Udaipur si allearono e dichiararono l'indipendenza da Delhi. Il sultano chiese aiuto agli Ottomani, in nome dell'alleanza, ma questi erano troppo occupati a presidiare la Persia per dare un aiuto maggiore di qualche corpo di cavalleria mandato nel Madya Pradesh. Allora ci si rivolse a Granada.
Il Primo Ministro, Fernando Alfriz, propose al re questa mossa: Granada avrebbe comprato per i pochi territori granatini in Persia e una grossa quantità di cereali che lo Stato ogni anno comprava dal surplus dei contadini per avere scorte in caso di guerra o carestia, il diritto di conquistare senza interventi dei precedenti dominatori i regni ribelli. La proposta fu accettata sia dal re sia dal Consiglio. Granada infatti bramava il cotone e il té di quelle terre, all'epoca considerati molto pregiati (il té in particolare stava ascendendo a una grande popolarità presso l'aristocrazia). Con poche scelte, il sultano dovette accettare la proposta.

Fu decisa una composizione del corpo molto simile a quella che aveva invaso il Gujarat, con in più un contingente gujarati; il comando fu affidato a Braba (il quale morì prima che gli arrivasse la nomina), quindi all'anziano ed esperto Shivaji Bhonsle, che era stato il comandante della sua divisione nella precedente guerra.
Muhammad decise però di partecipare personalmente all'invasione, unendosi alla cavalleria maghrebina con 100 guardie scelte. Ancora oggi è oscuro il motivo di quella scelta: forse era per le accuse che incominciavano a girare nella corte di pigrizia, fatto sta che il re diede la reggenza al figlio Ismail e partì per l'India. In questa impresa però non volle assumere il comando, ma si aggregò semplicemente come "consigliere" di Shivaji.

Infine nel 1703 l'armata, sui 16000 soldati, partì dal Gujarat per invadere il Sindh, l'unico regno che confinante.
Dopo il primo successo a Khorewah contro le avanguardie, l'esercito passò l'Indo e sconfisse con facilità i nemici al Lago Karli, poiché i contrasti tra signori rajput e i Sindhi erano ancora molto grandi. Uno di loro addirittura si unì a Muhammad. Sconfitta un'armata più o meno pari di numero con perdite nell'ordine delle centinaia, i granatini risalirono il fiume e lo attraversarono di nuovo, per assediare la capitale appena fondata di Neroon Kot, che fu presa a metà del 1704, dopo un assedio di 10 mesi. Il raja era intanto fuggito a Sukkur e, raccolti i suoi comandanti più fidati, aveva atteso l'arrivo degli alleati di Marwar. Fino ad allora la campagna nel Sindh era sembrata una passeggiata.

Pabuji Shekha, il raja di Marwar, arrivò con diecimila soldati, unendosi ad altrettanti del Sindh, nel 1705.
L'armata così composta marciò verso sud, scendendo verso l'Indo e il Marathi lasciò Neroon Kot e gli andò incontro, lasciando una buona guarnigione nella città. A marce forzate Shivaji raggiunse un'ansa sulla sponda sinistra del fiume, vicino il villaggio di Abad , in cui si posizionò coprendosi i fianchi con lo stesso fiume. Inoltre preparò un ponte di barche immediatamente dietro lo schieramento per ritirarsi in caso di necessità, premurandosi di far tagliare gli altri a nord e a sud.
Due giorni dopo il completamento delle opere di difesa, due volte tanto gli uomini di Granda si presentarono i soldati dei raja.
Lo scambio di artiglieria durò quasi un'ora. Infine, non potendo passare in altri posti l'Indo e senza alternative per smuovere i nemici, Pabuji si vide costretto a ordinare la carica alle fortificazioni. Shivaji aveva visto giusto: la posizione scelta annullava la disparità numerica, tuttavia l'artiglieria al centro aveva indebolito gli uomini, permettendo lo sfondamento.
A quel pericolo, Muhammad, il re che non aveva mai combattuto personalmente, chiamò a raccolta la cavalleria e caricò.
La massa di cavalieri respinse gli uomini che si erano incuneati e come un ago penetrò tra gli altri, rimanendo però isolata. Bhonsle, vedendo che i suoi uomini stavano cercando di tornare indietro, potè solo far sparare i cannoni, che fecero allentare la presa dei Rajput. I cavalieri rientrarono nei ranghi, ma in quel momento si accorsero che il re mancava. Il re era caduto. Il suo corpo non fu mai trovato.
Dopo altre ore di combattimento, Pabuji vedeva i nemici arretrare sempre di più, ma i suoi soldati non riuscirono a inseguirli con successo, stancati a morte. Quando riuscì a riorganizzarli per inseguire la retroguardia, che si stava avviando al ponte, dopo che il grosso dei superstiti era già in salvo: l'artiglieria granatina, sulla sponda opposta, lo evitò, obbligando gli inseguitori a fermarsi. Il generale fece bruciare il ponte.
Abad fu una grossa batosta per l'invasione: si salvarono solo 6597 uomini, dal conteggio che fu fatto immediatamente dopo. E peggio ancora, il re rimase sul campo.
Neanche i difensori poterono gioire più di tanto: avevano sì annichilito l'esercito invasore, ma avevano perso molti uomini nell'assalto e anche loro avevano bisogno di riposarsi, riposo che permise ai fuggitivi di tornare a Neroon Kot.
Questa era una situazione d'emergenza e così Ismail dovette iniziare il suo regno ufficiale.
Le guerre dei Rajput. Segnati i confini dei regni e le date di annessione

Muhammad XVII, la guerre oltremare, le esplorazioni I

Faraj con la moglie Manal ebbe quattro figli, di cui morì solo il terzogenito.
Quando morì nel 1678, lasciava i tre figli, anche loro ormai padri e la moglie, che però decedette l'anno dopo. Allora il primogenito Muhammad, diciassettesimo, fu incoronato alla presenza del Consiglio.

L'Impero Ottomano in Persia

Pochi anni dopo la successione, il vizir ottomano si mosse per consolidare il potere della Sublime Porta in Persia. Nel 1681, con l'appoggio di Balkh, dichiarò l'assemblea governante del Khorasan decaduta e fece occupare militarmente il paese. Questo non cambiò molto le cose, dato che l'assemblea aveva sempre più perduto i suoi poteri nel corso degli anni. Il grande Khorasan fu quindi annesso. Gli ex membri dell'assemblea tennero alcuni privilegi, ma non fu comunque difficile controllari, essendo tutti favorevoli al governo ottomano.
L'anno successivo si presentò un'altra ghiottissima occasione: il Ferghana tentò un'invasione lampo di Balkh, contando nella velocità per concludere una pace vantaggiosa coi potenti alleati. Tuttavia l'esercito di Mustafa Pasha era già disponibile. Con incredibile velocità raccolse i suoi uomini e incontrò i nemici a Termez, che sconfisse.
Mentre era ancora nel territorio di Balkh, aspettando l'ordine dal vizir di entrare in Ferghana o no, questo lo informò che aveva siglato una pace bianca e gli ordinò di obbligare il regnante a sottomettersi a Istanbul.
Con la minaccia dell'esercito, l'emiro dovette essere accomodante e accettò suo malgrado la vassallizzazione.
Con quella mossa l'Impero Ottomano consolidò definitivamente il suo dominio sulla Persia.

I primi conflitti contro l'Olanda, l'inizio della guerra di Java
Già da diversi anni esistevano dei contrasti fra Granada e Paesi Bassi sul commercio verso l'Oriente: le due nazioni erano le uniche intermediarie con il Giappone, con cui rischiavano costantemente una chiusura degli empori. Alla fragilità dei commerci con l'Impero del Sol Levante, si aggiungeva l'instabilità politica nelle Isole della Sonda, le Molucche e le regioni limitrofe, che poteva precludere in ogni momento l'accesso dei mercanti alle preziose risorse.
Per assicurarsi una base e uno scalo nell'area, la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (VOC) nel 1670 aveva comprato al potente sultanato di Mataram la città di Jakarta, ribattezzata Batavia. Due anni dopo era sbarcata a Timor, incominciando lentamente a consolidare la posizione nell'isola.
Sempre nel 1672 mille soldati indiani e altrettanti di Sumbawa erano sbarcati a Sumba, prendendone possesso in nome di Granada. Comunque, il controllo non si spinse per molto tempo oltre i pochi insediamenti sulla costa, anche se i rapporti con le comunità isolane furono sempre amichevoli.

Muhammad XVII iniziò subito dopo la sua incoronazione a concedere segretamente lettere di corsa a pirati, per la maggior parte tamil, contro i mercantili olandesi e in seguito di Mataram. Soprattutto, il governatore generale di Sumbawa e Sumba, Francisco Gualde riuscì a raccogliere i più forti pirati della zona e ne guadagnò i servigi contro le navi olandesi in cambio dell'impunità e dell'accesso ai porti. Il che significava per i pirati avere un grande alleato, essendo rifiutati dalla maggior parte dei potentati. In più, sempre il governatore si era alleato personalmente nel 1674 con la sultana dell'Atjeh Taj ul-Alam, che cercava un aiuto nel probabile scontro contro il sultanato di Siak (tale alleanza fu poi ufficializzata dal regno coi successori Muhammad XVII e Nurul Alam).

I continui attacchi alle navi olandesi ovviamente non erano accettabili.
Nel 1684 il governatore generale della VOC Johannes Camphuys, oramai sicuro che Granada era la principale macchinatrice, mandò due navi a bombardare il porto di Bima, a Sumbawa.
Con l'autonomia che aveva la VOC, il governo di Amsterdam non riconobbe quell'atto come proprio e quindi indirizzò l'ambasciatore di Granada, se voleva, alla stessa Compagnia per la richiesta di risarcimento. Però non condannò di certo l'atto.
Con il rifiuto, il Consiglio nnel 1685 votò per la dichiarazione di guerra alla VOC, non potendo attaccare il paese a cui faceva riferimento.
Fu quindi l'inizio della Guerra di Java, che avrebbe contrapposto per i successivi trent'anni le forze olandesi con i sultanati di Siak e Mataram contro quelli di Makassar e Atjeh più altri minori, alleati di Granada.
Camphuys

I primi anni ad ogni modo non furono ricchi di eventi (costituiscono la cosiddetta parte navale della guerra). Il 1685 trascorse come prima, con gli stessi attacchi al naviglio olandese e gli furono chiusi i porti. L'anno seguente la flotta d'India si presentò al completo di fronte a Batavia, che bombardò. Essendosi la guarnigione olandese ritirata nella cittadella a causa dello scarso numero, l'ammiraglio Sazaz sbarcò e fece dare alle fiamme la città.
Muhammad quindi diede apertamente le lettere di corsa e incaricò Sazaz di eliminare la flotta da guerra della VOC, ma non si giunse mai a uno scontro decisivo. Stessa cosa la Compagnia fece dal canto suo; inoltre, poiché il nemico controllava una grossa fetta della costa africana, le rotte dovettero essere spostate per Capo Horn.
La guerra non assunse toni seri fino al 1701, con il primo intervento di Siak, componendosi di numerosi scontri tra singole navi in un'area piuttosto vasta, dalle isole Comore alle Rykyu.

1650-1680: gli affari interni

Gestione dello stato
Con Faraj vennero poste le basi per un ulteriore miglioramento della burocrazia del regno, regolamentando i ruoli dei ministri e del vizir.
Fino ad allora, infatti, ogni sovrano aveva governato piuttosto liberamente: non esistevano ruoli fissi per i collaboratori del re. Chiunque aspirasse a diventare ministro regio, doveva prima riuscire a entrare nell'entourage di parenti o amici del re. Se questo notava un particolare talento in uno di essi ed egli otteneva una raccomandazione dal suo signore, potevano essere presi in considerazione per un compito unico o a tempo indeterminato ad amministrare un certo settore. Se poi il re decideva di non averne più bisogno o voleva cambiarlo, poteva destituire il proprio ministro e sceglierne un altro, oppure richiamarlo. A volte si ebbero più ministri contemporaneamente per lo stesso campo, come il tesoro, ma ognuno si occupava unicamente di un'area tributaria del regno.
In caso di eccellente impressione sul monarca, un ministro poteva essere designato come gran vizir, sul modello ottomano, che in pratica si accollava metà delle incombenze del re.
Questo sistema nei secoli aveva però creato un sistema di poche decine di famiglie, che erano cambiate solo parzialmente con l'entrata in scena del nuovo ramo dei Nasridi, a cui i re si affidavano completamente per la scelta di nuovi collaboratori. Con ciò erano stati sì trovati buoni consiglieri e ministri, ma oramai la maggior parte degli uomini presentati lo erano grazie a favori e debiti: ogni famiglia borghese affermata o della piccola e media nobiltà che volesse assicurare un avvenire al figlio, poteva ottenerne la raccomandazione pagando in vario modo. Oltre alla retribuzione elevata, un solo anno anche in compiti non troppo importanti come l'Ufficio dei rapporti religiosi (il meno pagato e il più spesso vacante, che si occupava di dirimere i piccoli conflitti interconfessionali nel regno) dava un prestigio tale da avere la precedenza per gli impieghi al servizio presso parecchi aristocratici.
Tale situazione non era accettabile per Faraj e alcune famiglie aristocratiche, che vedevano i succitati loro pari aumentare la loro influenza nel regno. Unico freno a una riforma era il fatto che Faraj avrebbe dovuto danneggiare anche molti suoi parenti. Però, con le insistenze dei favorevoli al cambiamento e del numeroso seguito che avevano raccolto, la ragion di stato prevalse. Nel 1656 fu stabilito un nuovo modo per scegliere gli amministratori dello stato.
Il re avrebbe scelto personalmente ogni ministro e questi sarebbe stato ancora destituibile e comunque al sovrano spettava l'approvazione di ogni mossa, ma niente più plurimi ministri per lo stesso ministero. A loro sarebbe spettata l'eventuale scelta di collaboratori. In contemporanea il Consiglio Generale (spesso ad effettivi ridottissimi) avrebbe dovuto esaminare i candidati proposti dai suoi stessi membri e votare tre nomi da fornire come possibili sostituti (e darne di nuovi in caso di depennamento per qualche motivo di uno di questi). Il Gran Vizir invece sarebbe stato scelto senza altre opzioni dal re.
Un sistema insolito, che però riuscì a limitare la corruzione delle cariche governative.
Teodosio conte di Bonfim, primo gran vizir sotto il nuovo ordinamento.


Arte e fede al tempo di Faraj
Come detto precedentemente, Faraj fu un grande mecenate e patrono degli scienziati, ma si presume più per competere con gli altri sovrani dell'epoca che per effettivi interessi.
Sebbene un pio musulmano dai costumi andalusi integerrimi, nella letteratura preferì sempre la letteratura mozarabica a quella di altre lingue. Sotto il suo patronato, con poeti come Abraham Nivar, i dialetti mozarabici vissero la loro ultima stagione di gloria letteraria, dato che l'arabo, il castigliano e il catalano si stavano oramai sostituendo alle altre come lingue colte nel sud.
Gli scrittori trattavano temi molto lirici e spesso popolari, dato che gli ultimi cristiani a parlare quelle lingue erano rimaste le fasce basse della popolazione.
Questa tendenza letteraria rimase però legata all'ambiente di corte e al supporto regale.
Completamente antiteci, furono i movimenti culturali che dalla seconda metà del 1600 al 1700 si svilupparono in seno all'aristocrazia, che faceva a gara a emulare il sovrano in mecenatismo. Questi movimenti, oltre a riferirsi alle arti, influenzavano anche i costumi e la moda dei facenti parte.
Il più diffuso fu l'arabismo, stile sempreverde, che si rifaceva ai classici della cultura e, come al solito, fu tipico dei signori arabi e berberi, che si vedevano minacciati nel loro status. In questo periodo, comunque, l'arabismo conquistò anche molti signori africani e alcuni spagnoli;
il turchismo, molto in voga tra in Tunisia e nell'India granatina settentrionale. Oltre ai modi della nobiltà anatolica e una grande valutazione della carriera militare, la cultura persiana tornò alla ribalta e i maggiori musicisti dell'epoca furono i membri del turchismo, la cui musica combinava le sonorità turche a quelle persiane tradizionali.
Notevole fu anche lo sceicco Asad al-Samir, che tradusse l'Avesta in arabo.
Sviluppatosi nei territori francesi, il francesismo si rifaceva completamente al vicino settentrionale. Gran parte dei nobili italiani si unì a un "circuito" comune di artisti e idee tra Francia e Italia;
infine vi furono lo spagnolismo e l'indianismo, probabilmente nomi impropri coniati per imitazione dei precedenti. Il primo raccolse la maggior parte dei nobili iberici cristiani che iniziarono a ostentare il loro retaggio culturale cristiano quasi a volersi opporre all'arabismo. Similmente accadde col secondo, nell'India meridionale e nello Sri Lanka con l'induismo.

Per quanto riguarda la religione, il periodo di Faraj vide i maggiori successi della Compagnia di Predicazione, che convertì vaste fette dell'Africa non "schiavizzabile".
Il pluralismo religioso fu quello di sempre, ma in questo periodo il re non contribuì alla costruzione di alcun luogo di culto non islamico, cosa che in diversa misura i predecessori avevano fatto per ragioni d'immagine.


1650-1680: le guerre

L'ultimo trentennio di Faraj I fu caratterizzato da altre due guerre: quella per la successione estense e la seconda guerra del Gujarat.

La guerra di successione
Nel 1658 morì Francesco I d'Este, difendendo con successo Ferrara dai pontifici. Al trono quindi salì Alfonso IV, che per continuare la difesa del ducato dallo Stato Pontificio e da Napoli si rivolse a Costantinopoli, non riuscendo a convincere Venezia, l'Impero o la Francia, colpiti da una grande epidemia di colera.
Alessandro VII cambiò obiettivi: rinunciò al controllo diretto del ducato, ma sostenne un parente di Francesco, Carlo Filippo, in cambio della sua fedeltà.
All'inizio l'Impero Ottomano inviò solo dei fondi al duca. Nonostante il copioso flusso monetario, Alfonso non riuscì a racimolare un grande esercito. Nel 1662 i soldati estensi incontrarono quelli papalini a Faenza. La battaglia all'inizio sembrò favorevole ai difensori, ma quando una palla di cannone colpì in pieno il duca, l'esercito si sfaldò. Carlo Filippo potè facilmente prendere possesso del regno.
A questo punto intervenne Costantinopoli: perso un alleato, chiese al re di Napoli la destituzione del nuovo duca. Non volendo rischiare una nuova guerra, re Carlo chiese al papa di farlo, pressato anche dalle insistenze di Granada. Alessandro non volle accettare, ma ai due sovrani fu concesso di poter rimanere neutrali e abbandonare l'estense alla mercè turca. Questi però aveva già fiutato cosa stava succedendo e così chiese aiuto al sacro romano imperatore, che gli inviò un contingente bavarese.
Nel 1663 allora un'armata granatina entrò dalla Toscana nel ducato, battendo i Bavaresi a Modena e prendendola, mentre i Turchi sbarcarono a Ravenna e batterono Carlo Filippo a Comacchio, che fuggì in esilio.
Velocemente il SRI fu estromesso senza ulteriore spargimento di sangue e il figlio di Alfonso, Francesco II, fu installato sul trono e divenne un subordinato dell'Impero Ottomano. Granada si tenne Modena come indennizzo.
Carlo Filippo d'Este

Il conflitto nel Gujarat
Nel 1667 Muhammad Shah VI di Gujarat, preoccupato per lo strapotere dei mercanti di Granada nel suo regno, tentò di limitarne i privilegi economici concessi dopo la prima guerra del Gujarat.
Riportò quindi allo stardard i vari dazi e tolse a quei mercanti diversi servizi pagati dallo stato.
Subito le compagnie commerciali si lamentarono con il governatore indiano, che per convincere il sultano ad abbandonare l'idea mandò la flotta di Cuddalore all'isola di Diu, utilizzata come porto per i mercanti.
Il sultano arrivò subito e, per nulla impressionato, senza neanche ricevere l'ammiraglio Flodeo e diede il permesso al forte sull'isola di sparare alle navi. I cannoni fecero poco, ma il forte vento obbligò la flotta ad andarsene.
Tale atto coincise con l'arrivo anticipato del monsone, che impedì ogni altra azione per quell'anno. Il messaggio di quell'atto ostile tuttavia raggiunse Granada, assieme all'ultimatum di Muhammad: o il re avrebbe accettato le nuove condizioni o i mercanti sarebbero stati espulsi definitivamente; egli non temeva l'alleanza, avendo avuto tempo per preparare il sultanato alla guerra con una serie di forti di frontiera e un esercito ben addestrato. Anche se non avesse avuto una vittoria, avrebbe impegnato i nemici per molto tempo.
Dal canto suo, Faraj non poteva permettersi di perdere definitivamente il Gujarat, poiché era il principale centro commerciale dell'India settentrionale e buona parte dei beni di lusso dal Mysore al Tibet potevano essere comprate a basso prezzo e immesse nel mercato di Granada.
Faraj era indeciso sul da farsi, poiché non gli piaceva l'idea di dichiarare guerra a un sovrano islamico.
Non riuscendo a decidersi, indisse la seduta consultiva del Consiglio Generale.
Quella fu una delle poche volte in cui la maggior parte dei nobili si riunì, giungendo sin da Sumbawa. Molti avevano interesse ai privilegi mercantili, essendo i principali clienti o soci delle compagnie e il Gujarat non le avrebbe ripristinate senza una sconfitta; altri erano favorevoli alla guerra sperando di potervi partecipare direttamente. Il Consiglio quindi facilmente raggiunse la deliberazione per l'entrata in guerra e Faraj si adeguò alla decisione.
Nel 1668 scoppiò quindi la guerra. Il re era restio a impelagarsi in India e sperava ancora in una soluzione diplomatica, così chiese agli alleati solo l'embargo al sultanato.
In inverno l'ammiraglio Flodeo intercettò una flotta del Gujarat presso le Laccadive, in viaggio per offrire l'alleanza con una dimostrazione di forza al re delle Maldive e possibilmente al sultano di Sri Lanka.
Preso di sorpresa perché pensava che le navi granatine fossero ancora alla fonda per le riparazioni annuali, Sunil Mafhor Bhai dovette affrontare i nemici mentre la sua squadra si stava rifornendo.
Nonostante il numero maggiore di navi, Flodeo ne prese più della metà soprendendole a Kavaratti; l'ammiraglio del Gujarat tentò d'intrappolare i nemici nascondendo metà flotta ad Agatti e spuntando mentre gli equipaggi combattevano, ma la potenza di fuoco delle navi granatine era maggiore e fu costretto a fuggire con le navi che avevano resistito, poco più della metà.
Con questa vittoria, dovuta a una manovra azzardata del sultano, la flotta fu in grado di anteporre alle centinaia di navi di piccola stazza rimaste e tre con più di 20 cannoni una decina di galeoni e sessantaquattro imbarcazioni piccole. Con questa forza, i piccoli vascelli indiani poterono quasi bloccare i traffici marittimi del Gujarat senza trovare vera resistenza.
In inverno finalmente giunsero in India i soldati somali e la cavalleria maghrebina per unirsi alle truppe locali.
Da Mumbai allora partirono circa 2000 Somali e altrettanti cavalieri, 11000 Tamil e 6000 Marathi, che sbarcarono in una zona imprecisata della penisola del Kathiawar, sotto il comando di Estêvão Braba.
L'armata, dopo una settimana impiegata a riorganizzarsi e scaricare le salmerie, si diresse verso Palitana, la città santa del giainismo, che difficilmente avrebbe opposto resistenza.
Muhammad Shah non voleva assolutamente che gli invasori s'impadronissero di una qualsiasi città importante prima di dar battaglia, così riuscì a giungere prima di loro alla città e fortificarsi in attesa, con un esercito più o meno di pari dimensioni, quanto era riuscito a portare lì in tempo.

La battaglia si svolse a sud di Palitana.
Braba divise la fanteria in tre parti e tenne in un'unica lunga linea la cavalleria dietro. Muhammad invece dispose la fanteria in un solo corpo di numerose file e tutta la cavalleria fu messa sulla destra. Poco prima della battaglia altri 3000 cavalieri del Gujarat arrivarono, che si misero dietro al primo raggruppamento di cavalleria. Entrambi gli schieramenti schieravano le artiglierie l'una di fronte all'altra.
La battaglia iniziò nel tardo pomeriggio: il generale portoghese doveva attaccare il prima possibile prima che si aggiungessero altri contingenti; i cannoni iniziarono a confrontarsi, ma quelli del Gujarat avevano una gittata maggiore ed erano al riparo, così gli artiglieri marathi dovettero ritirarsi.
Seguì la carica generale della cavalleria del Gujarat, che investì i Somali; immediatamente dopo quella della cavalleria del Maghreb. Tuttavia quest'ultima fu ostacolata dai quadrati dei Somali, che obbligarono a rompere la linea. Ciò permise ai nemici di avere la meglio, decimando la fanteria e mandando in rotta la cavalleria. Il cedimento del fianco sinistro fu evitato dai Marathi, che abbandonarono il centro e obbligarono i cavalieri a ritarsi.
Nel frattempo, notando tale manovra, Muhammad Shah ordinò l'attacco della fanteria e l'artiglieria cessò il bombardamento. I Tamil quindi si mossero per contrastarli, decisamente inferiori di numero e martoriati dai cannoni. Improvvisamente, però, dalla polvere uscirono i Marathi, che avevano vinto lo scontro e di corsa erano arrivati; attaccati sul fianco ed impauriti, i soldati del sultano vacillarono e iniziarono a fuggire. Tale fuga rischiò di tramutarsi in disastro con l'arrivo da dietro di un reparto di cavalleria granatina ritornato in battaglia, ma quella del Gujarat riprese la posizione e li ricacciò indietro, aprendo la via di fuga. Vedendo che non c'era speranza di richiamare tutti, Muhammad ordinò ai suoi comandanti di disingaggiarsi sfruttando il buio che aumentava.
Lo scontro durò solo tre ore, ma i morti furono in totale tre migliaia. L'esercito difensore fu costretto ad abbandonare la città, malmesso nel morale ma non troppo negli effettivi.
Due settimane dopo, ripresasi, l'armata granatina tornava in marcia, dirigendosi verso Gariadhar. Nuovamente trovarono la strada bloccata. Dopo alcune schermaglie, i due opponenti si accamparono per la notte, per dar battaglia il giorno dopo. Nella notte i due generali decisero di mandare delle pattuglie appiedate per puzecchiare gli uomini accampati. Incontratesi, incominciarono delle zuffe, i cui rumori misero in allarme tutti. E a questo punto il comandante della cavalleria, Faruq abu Yahya, famoso per la sua spregiudicatezza, fece montare in sella i suoi uomini che aveva già fatto tener pronti e li guidò in una carica sotto la luna piena verso l'accampamento nemico, in stato di agitazione. Resosi conto di quanto accadeva, Braba dovette ordinare al resto dell'esercito di seguire lo sconsiderato abu Yahya (che, tra l'altro, morì di colera poco tempo dopo).
La cavalleria riuscì comunque nel suo intento, facendosi strada tra i soldati spaventati e giungendo sino alle tende dello stato maggiore, catturandolo completamente. Nel mentre i drappelli di cavalieri galoppavano per impedire agli avversari di riorganizzarsi; con incredibile velocità sopraggiunsero anche i fanti indiani, molti praticamente seminudi. L'arrivo di altri soldati fece cedere definitivamente il morale degli altri, che a tutto erano preparati meno a un attacco notturno. La grande armata, una volta e mezza quella di Braba, si sciolse. Muhammad Shah, prigioniero, capitolò. Il Gujarat sarebbe diventato un possedimento di Granada; i sultani avrebbero mantenuto qualche autonomia, ma ben poche rispetto ai governatori provinciali e sarebbero stati affiancati da Estêvão Braba e dai suoi discendenti. Inoltre sarebbero stati costruiti molti presidi nelle città più importanti della regione. Questo dominio tuttavia per molto tempo dovette essere rafforzato dalle milizie ottomane.