sabato 10 marzo 2007


Il caos africano, la politica di Faraj e i rapporti con l'Impero Ottomano

Lo schiavismo
La guerra, seppur breve, aveva drenato il tesoro reale, già rimpicciolito dalle precedenti e dalle spese di Muhammad XVI. Inoltre il re sapeva di dover dare una prova di forza ai re e principi che non avevano accettato di sottomettersi. La soluzione venne dall'Inghilterra.
In America, la manodopera indigena aveva iniziato a scarseggiare ben presto, portando gli interessi inglesi nell'acquisizione degli schiavi.
Per tutto il 1500 e parte del 1600, i principali fornitori erano stati il Benin e il Manikongo, tuttavia il primo era stato molto indebolito dalla recente sconfitta e gli era difficile continuare i raid con la stessa intensità.
Con questi problemi, una nave inglese con le carte non troppo in regola, nella primavera del 1635 aveva tentato un colpo di mano pagando una banda di Kpelle perché fornissero loro degli schiavi kru, fallendo. La situazione fece scalpore nella colonia granatina e le relazioni tra i due paesi peggiorarono, ma ciò mostrò a Faraj il grande potenziale che avevano quelle terre malariche e non molto fidate.

La schiavitù senza crimine commesso e quindi non intesa come pena, era illegale nel regno. Tuttavia, questo poteva essere benissimo aggirato non rendendosi responsabili diretti della tratta. A fine 1636 Granada e Inghilterra giunsero all'accordo: i mercanti inglesi si sarebbero insediati in alcune città della costa e avrebbero recepito lì le spedizioni con gli schiavi.
Il regno iberico si sarebbe invece ritirato completamente, tagliando ogni contatto, dai territori dei re che non avevano accettato i termini imposti da Faraj. I popoli di questi territori venivano quindi completamente esclusi dallo stato, senza possibilità di esserne accettati. I re potevano ancora offrire la propria sottomissione per ritornare intoccabili dagli schiavisti, ma avrebbero dovuto rinunciare a ogni potere. La Compagnia di predicazione fu ritirata, pure.
Per evitare problemi di conflitti interni, in una grande opera di svuotamento delle carceri ottomane, migliaia di detenuti per tutto l'impero furono spediti ai confini delle zone abbandonate e addestrati militarmente come alternativa alla pena, per proteggere le popolazioni che invece dovevano occuparsi dei raid o per monitorare le reazioni del Benin. E ciò fu di notevole guadagno anche a tutti i regni che ottennero la licenza di schiavismo, perché il privilegio di possedere schiavi sì era rimasto, ma l'impossibilità di procurarsene tra le altre tribù ora sotto un unico sovrano aveva obbligato ad acquistarli dal Benin e dal Bornu.
Tale situazione durò per tutto il rimanente regno di Faraj, 45 anni. Reazioni vere e proprie non si attuarono, ma i vari capi si unirono nella Confederazione di Tambacounda, dal nome della città Mande (il gruppo etnico più forte, sebbene diviso fra le popolazioni che s'erano sottomesse a Granada e a quelle respinte) in cui fu creata. Questa fragile unione tentò di ottenere l'aiuto del Bornu o del Benin, ma non ebbero risposte.

Nel 1640, inoltre, l'avventuriero Battuta ibn Fuad, a capo di 500 uomini, occupò in nome di Granada l'isola di Bioko, stabilendo una pacifica alleanza coi locali Bubi; quell'isola (grazie alla speciale patente assegnata a Battuta) divenne una meta per gli schiavisti, che lì, pagando solo l'affitto degli stabili, potevano trovare una base per i carichi dal continente oppure addirittura usarla per proprie razzie, per cui il regno di Mandara era il miglior partner d'affari.
Il fratello di Battuta, Hassan, due anni dopo occupò Mayumba, un piccolo villaggio fang, fortificandolo e rendendolo un'altra base per il traffico diretto di schiavi. Ai fratelli si sostituì quindi Yusuf Rurikovic, ultimo esponente della famiglia, che con l'aiuto dei corsari inglesi espanse gli approdi per gli schiavisti in vari punti della costa.
Va ricordato che i capi somali si sottomisero subito e non furono toccati dalla nuova politica.

A chi giovò questo commercio? Sicuramente a Granada: le forti imposte sugli schiavi ma anche le grandi libertà lasciate alle spedizioni per la loro cattura, resero di fatto le spese burocratiche africane indipendenti dal tesoro statale.
Anche le economie di alcuni ex regni africani si risollevarono con i proventi del commercio dopo la flessione dovuta alla moratoria sugli schiavi.
Va ricordato che in seguito, con i nuovi insediamenti americani, anche Francia e Olanda si servirono di questi intermediari per le proprie colonie. Più tardi, anche l'Impero Azteco ne approfittò. La schiavitù nell'impero era assai diversa da quella europea, ma l'huey tlatoani accolse il suggerimento della nobiltà totonac e concesse che nelle terre di quel popolo venisse istituità una schiavitù di stampo europeo, diversa da quella mesoamericana: sulla costa orientale iniziarono quindi a essere impiantate piantagioni di peperoncino, fagioli e ahuacatl (avocado), prodotti che incominciavano a essere piuttosto richiesti dalla borghesia mercantile francese e iberica, facendo così nascere una nuova casta di proprietari terrieri anche nell'impero.

In quest'epoca rifiorì nuovamente la pirateria. Quella nell'Oceano Indiano non era mai stata sconfitta, mentre per qualche decennio sembrò che in America tale pratica fosse stata eliminata dalla flotta inglese. Tuttavia, l'abbandono da parte di molti coloni inglesi di vaste porzioni a nord est dell'America meridionale (buona parte di questi migrò più a sud) per contrasti coi nativi o epidemie, portò all'arrivo di francesi e soprattutto pirati, che usarono le basi abbandonate dagli inglesi per minacciare le lucrose rotte della tratta. Due particolari figure vengono ricordate tra 1650 e 1660: uno fu lo zeelandese Andreas Janszoon, che alleatosi con gli Arawak riuscì ad annichilire a terra il corpo di spedizione britannico mandato a eliminarlo.
L'altro fu Okafor, originario del delta del Niger e che aveva servito come ufficiale di marina del Benin, riorganizzata dagli Svedesi, che aveva scelto di darsi alla macchia dopo aver attaccato un vascello schiavista inglese, su cui aveva scoperto essere imbarcata la sorella, sposa di un importante principe dei Gurunsi (popolo che non si era sottomesso a Granada); fuggì in America coi suoi seguaci e, mai catturato, riuscì a liberare migliaia di schiavi e fondando delle colonie in America per i nuovi arrivati, perché rimanessero o trovassero il modo di tornare alla loro terra. Tuttavia l'esperimento dopo la morte di Okafor non riuscì, a causa dei contrasti fra etnie diverse e l'impegno francese nell'eliminare questi ricettacoli di fuggitivi.

I rapporti con la Sacra Porta
Il regno di Nasr II vide l'affermarsi degli stretti rapporti con l'Impero Ottomano inaugurati dai predecessori e lo sfruttamento dei vantaggi che comportava l'alleanza.
Nell'aprile 1639, onde esaminare le richieste di Balkh e Khorasan di entrare definitivamente a far parte dell'alleanza con i tre giganti, Faraj I, Murad IV, Ibrahim IV (Delhi), Nadir Muhammad (Balkh) e Sayid Ali (Khorasan) s'incontrarono a Isfahan. A questi ultimi si accompagnarono l'Ayatollah Mostafa e l'iman di Isfahan.
Infatti lo scopo del consiglio non era tanto se decidere di accettare o meno i due potentati nell'alleanza, quanto decidere le faccende religiose, ossia il riconoscimento degli Ottomani. Proclamatisi califfi, i membri della casa di Osman avevano il pieno appoggio da parte di Granada, Delhi, Khorasan (la dinastia uzbeka che regnava era sunnita) e pure dall'emiro di Balkh, che non aveva problemi ad accettare un califfo. Tuttavia, Balkh e Khorasan dominavano la Persia e la nobiltà locale aspettava solo una parola contro i dominatori per ribellarsi.
Dopo un mese di deliberazioni, si giunse a un accordo storico: tutti i sunniti avrebbero accettato definitivamente Murad come califfo e le massime autorità sciite deliberano che fosse riconosciuto con un nuovo titolo, "Difensore della Fede", secondo solo al califfo atteso. Dall'epoca dello scisma, per la prima volta un califfo aveva autorità morale anche sulla Shi'a.

La grande guerra persiana e i nuovi rapporti con i Turchi
Nel 1643 la dinastia di Kabul, che aveva dominato l'Afghanistan e il Baluchistan nella loro interezza per vent'anni, fu costretta alla ritirata dalla sollevazione delle tribù pashtun in toto, a causa delle offerte di supporto da Delhi. Amhed Beg riuscì a ritirarsi nel Baluchistan, fedele alla corona, da cui incominciò il tentativo di risottomettere i territori perduti.
Purtroppo due anni dopo il sultano di Delhi gli dichiarò guerra e a Pasni Ahmed oppose l'ultima futile resistenza.
Nel frattempo anche Khorasan aveva messo le mani sulla regione, con l'appoggio ottomano.

Approffitando delle divisioni tribali, onde anche pacificare preventivamente la situazione confusa, lo stato persiano invase lo scomodo vicino.
Dopo i primi successi, Sayyid Abd al-Aziz Khan invase il Khorasan, obbligando Sayid Ali a fare marcia indietro.
L'invasione dell'emirato di Balkh seguì quella del Khorasan. Agli Uzbeki di Abd al-Aziz si unirono molte jüz khazake e varii kirghizi dissidenti che fuggivano dal khanato di Ferghana, tutti in calata verso sud per la Persia, seguendo il carismatico khan.
Per il 1646 l'orda, forte di circa 100.000 uomini arrivò a Mashhad, la capitale del Khorasan, mentre Balkh era riuscita a respingere il primo tentativo d'invasione.
Messi alle strette, i regni persiani implorarono aiuto agli alleati.
Delhi inviò uomini, ma non molti, minacciata di un'invasione dal Bengala.
Chi poteva fornire effettivo aiuto era l'Impero. Tuttavia, al momento il dominio di Ibrahim I stava subendo delle ristrettezze economiche, dovute ad alcune annate cattive. Allora Kösem Sultan, la madre ed effettiva governante dell'Impero (Ibrahim era considerato malato mentale e si teneva lontano dalla politica) chiese dei finanziamenti a Granada, che poteva permettersi di sostenere lo sforzo militare che aspettava l'Impero.
Posta la richiesta al Consiglio dei Nobili e ai ministri, questi l'accettarono e Faraj diede il proprio consenso. Per i successivi cinque anni, l'80% delle tasse commerciali e il 10% delle catastali fu destinato al mantenimento delle armate. Si concluse un accordo con la Crimea e la Russia affinché fornisse il grano necessario; a numerose armerie inglesi fu commissionata
parte dell'artiglieria; il mantenimento dei soldati in Africa passò a Granada.

Praticamente la metà degli uomini fra i 17 e i 35 anni in tutto l'Impero fu mandata a servire contro gli invasori, sotto il comando di Nevesinli Salih Pasha.

L'orda oltre a non essersi diminuita, era addirittura aumentata, con l'apporto dei Turkmeni e di numerosi mercenari mongoli, più molti coscritti persiani, mentre altri si rifugiarono in Mesopotamia come profughi.
Prima che l'esercito ottomano fosse pronto a Baghdad (metà 1647), quello di Abd al-Aziz era giunto in Kurdistan, dopo essere dilagato in Persia e dopo che un contingente più piccolo guidato dal fratello aveva sconfitto Balkh e aver anche attaccato il territorio di Samarcanda.
Salih Pasha marciò con circa 90000 uomini contro un esercito al momento minore di numero. Le due armate s'incontrarono al lago Dukan, dove la superiorità dell'artiglieria ottomana si mostrò, falcidiando i ranghi dei coscritti persiani e i Sipahi respinsero la cavalleria uzbeka che aveva travolto i nemici in tutte le precedenti battaglie. Sayyid, dopo appena due ore di combattimenti ordinò la ritirata, seminando gli avversari sulle alture.
Lo scontro decisivo avvenne a Kermanshah, con eserciti di pari dimensione. La cavalleria kazakha sfondò l'ala sinistra, tenuta dagli egiziani e dai libici e colpì duramente il resto della fanteria leggera, indisciplinata e senza esperienza, mettendo a repentaglio l'esito della battaglia. Tuttavia, la resistenza del contingente albanese permise ai cannoni turchi di concentrare il fuoco sulla fanteria turcomanna, permettendo ai Giannizzeri e alla cavalleria di accorrere a fermare la carica. Il pasha richiamò quindi gli uomini in fuga e li rigettò in mischia.
Ancora una volta lo schieramento ottomano traballò quando le truppe kirghize di Kerim attaccarono l'estrema destra con una tattica simile al caracollo; la cavalleria tutta ancora una volta si spostò per respingere l'attacco, quando fu investita dall'artiglieria dell'alleanza e quindi da una carica generale. L'unica cosa che impedì l'accerchiamento furono i moschetti della riserva persiana, che spaventarono i cavalli dei mercenari mongoli, permettendo un contrattacco delle truppe libanesi proprio nella zona del quartier generale (lo stesso comandante rischiò di essere ucciso).
Dopo un'altra ora di cariche e controcariche locali, Abd al-Aziz s'avvide che non sarebbe riuscito a recuperare il "momentum" e ordinò la ritirata, con buon ordine se si esclude la diserzione dei soldati persiani. Entrambi gli schieramenti lasciavano sul campo più di 9000 soldati e un numero imprecisato di feriti.

L'armata si ritirò in profondità, lasciando tutta la Persia meridionale e parte di quella orientale, scossa dalle rivolte e attraversata dalle truppe indiane.
Fino alla primavera successiva gli eserciti non s'incontrarono, limitandosi a scaramucce di confine. I sovrani di Khorasan e Balkh tornarono dall'India e indirono la leva per la prossima campagna.
Il khan dovette lavorare molto per non perdere troppi uomini e riuscì a tenere i suoi alleati con sé per ancora un'altra stagione, anche se individualmente molti uomini lasciarono l'esercito.
All'armata ottomana, frammentata per occupare il resto della regione, si unirono quindi 12000 uomini di Nadir Muhammad, 7000 di Sayid Ali, 19000 Punjabi mandati da Delhi e 2000 cavalieri berberi. In primavera fu di nuovo cercato lo scontro. Contro il parere dei suoi comandanti, il khan decise di fortificarsi sul Kuh-e Bastam, una montagna a nord di Semnan e lì attese i nemici vicini.
All'avvicinarsi dell'esercito, i soldati del khan abbandonarono la città, rifugiandosi nei trinceramenti e colpendo i nemici in una serie di attacchi mordi e fuggi con la cavalleria, l'ultima possibilità di usarla e che si rivelarono efficaci, colpendo quasi indisturbati.
La battaglia del Kuh-e Basam iniziò all'alba 3 maggio 1648 con il bombardamento delle postazioni fortificate, dopo aver faticosamente portato i cannoni sul monte. Fu l'unica battaglia in cui gli alleati del Trattato di Isfahan combatterono uniti.
Senza alcuna raffinatezza tattica, la battaglia consistette dall'alba al tramonto di varii assalti senza quartiere dal costo elevato per entrambe le parti, mentre il Abd al-Aziz aspettava il momento adatto per caricare con la sua riserva di cavalleria. Nella battaglia fu ucciso anche Sayid Ali, signore del Khorasan e ultimo della sua dinastia, non avendo eredi.
A fine giornata gli attaccanti erano quasi arrivati alla vittoria, ma il buio li fece fermare. Il khan non voleva parlamentare, ma si vide disertato dai suoi alleati e dai suoi stessi uomini, che offrirono la resa e il salvacondotto per il ritorno in patria (che fu accettato). Abbandonato, si uccise.
La battaglia aveva portato alla morte di forse 19000 soldati sotto il comando di Salih Pasha e si pensa addirittura 30000 soldati dall'altro campo. L'armata che due anni e mezzo prima aveva tentato la conquista della Persia ritornò in piccoli gruppi, lasciando dietro di sé un fiume di sangue.

Politicamente, l'Impero Ottomano ne guadagnò: a capo del Khorasan fu posto un consiglio di nobili persiani e in parte uzbeki e divenne de facto un satellite ottomano. Parte dell'esercito inoltre continuò la guerra in Afghanistan, contrastando la guerriglia alleandosi con alcune tribu e installando a Kabul un governo subordinato al Khorasan.
Tale guerra inoltre inaugurò un nuovo tratto della politica tra Granada e Istanbul: Granada avrebbe fornito i soldi grazie alla grande ricchezza della nazione e l'Impero gli uomini, divenendo simbionti. E in questa maniera si presentarono per lungo tempo i sovrani di entrambi gli stati alle altre potenze mondiali, come il braccio destro e il braccio sinistro dell'Islam.